Ultimi in Europa e 41esimi nel mondo per la libertà di stampa. 20 giornalisti attualmente sotto scorta nel nostro paese. Un numero indefinito di precari, finti stagisti, semplicemente sfruttati, che quando va bene prendono 5 euro al pezzo. E in mezzo a tutto questo una legge, quella sulla diffamazione a mezzo stampa, che risale al 1948 e che prevede ancora il carcere anche per un titolo di giornale ritenuto diffamatore. E poi un mal costume, quello del potente di turno, che può querelare un editore, un direttore o un giornalista (oppure tutti e tre insieme) anche per 1 milione di euro, sul nulla, solo per intimorire, senza il rischio di dover pagare un solo euro anche nel caso in cui le sue accuse risultino completamente infondate.
E dire che almeno sulla lite temeraria e sulla diffamazione a mezzo stampa c’era la sensazione che si fosse arrivati finalmente ad un buon compromesso, con una grande maggioranza dell’arco parlamentare pronta a votare entrambi i disegni di legge. Ma poi è arrivata la pandemia, il post pandemia, la seconda e la terza ondata, poi il nuovo governo, il green pass, lo spettro di una quarta e quinta ondata. Insomma, della libertà di stampa non se ne è occupato più nessuno, addossando tutta la colpa al covid. Sarà anche colpa del virus ma l’attività parlamentare ordinaria è ripresa ormai da più di un anno, eppure non si riescono a portare a casa due leggi che sarebbero un segnale di civiltà oltre che una garanzia in più per chi il giornalismo lo intende con il suo ruolo più alto, quello di essere il “cane da guardia della democrazia”. Ne abbiamo parlato con il Senatore Arnaldo Lomuti, del M5S, che del DDl sulla lite temeraria è stato primo firmatario.
Senatore che è successo? È tutto fermo?
“Sulla lite temeraria mi tolgo qualche sassolino dalla scarpa. Il DDL a prima firma del Senatore Primo Di Nicola, del quale ne sono relatore, lo ritengo giusto in quanto tende a limitare l’uso strumentale della giustizia, soprattutto verso chi fa giornalismo d’inchiesta. È chiaro che non va in aula perché non ci sono più quei numeri iniziali che aveva garantito la maggioranza alla sua approvazione in aula. Non la vuole Italia Viva, così come non la vuole Forza Italia, nonostante ci sia l’accordo a portare avanti questo DDL insieme a quello del senatore Caliendo sulla diffamazione a mezzo stampa, migliorato anche quello durante i lavori in Commissione Giustizia del Senato. I motivi di questa empasse bisogna chiederli ai loro leader. Se non verranno approvati in questa legislatura sarebbe davvero un peccato in quanto li ritengo puntuali, equilibrati e necessari. Occorre tutelare chi fa inchiesta ma anche chi, dalle inchieste ma più in generale dalla informazione, subisce un pregiudizio in termini diffamatori”.
Secondo lei la libertà di stampa è in pericolo?
“Non parlerei di pericolo ma di stato di salute e credo che la libertà di stampa nel nostro Paese non goda di ottima salute e non mi riferisco agli ultimi di tempi. Da un lato abbiamo giornalisti liberi che questa libertà l’hanno pagata anche con la propria vita, dall’altro abbiamo i c.d giornaloni, quelli nazionali controllati da grandi e potenti famiglie e che per di più prendono finanziamenti pubblici in nome di una pluralità di pensiero che nella sostanza non c’è. Poi c’è chi fa giornalismo serio, di inchiesta o puramente informativo, che troppo spesso subisce mortificazioni professionali per mano dello stesso sistema mediatico quando non si tratta di vere e proprie censure violente.
Ci sono stati attacchi a molti giornalisti durante manifestazioni no-green pass, ma anche al contrario, l’attacco a emittenti più critiche con il passaporto sanitario.
In questo caso gli attacchi ai giornalisti durante le manifestazioni pro-green pass li ritengo ignobili e pericolosi. Detto questo, penso siano altresì ingiuste le censure a chi pone dei dubbi verso la misura del Green pass, ammazzando letteralmente il dibattito e di conseguenza negando la formazione della migliore cognizione critica collettiva”.
Un altro problema è quello dei finanziamenti all’editoria che prima almeno garantivano un minimo di pluralità.
“Su questo tema bisogna intervenire presto, ovviamente serve una misura equilibrata, che non intacchi il pluralismo e il diritto alla corretta informazione dei cittadini che a dirla tutta, a mio avviso, sono minacciati da ben altre nefandezze. Riporto sul punto un dato significativo. Il grosso delle risorse stanziate per il finanziamento pubblico all’editoria è destinato ad alcuni giornali (tra cui Avvenire, Famiglia Cristiana, Il Manifesto, Il Quotidiano del Sud, Libero, Il Foglio, Italia Oggi) mentre il restante se lo dividono circa un centinaio di quotidiani. Il sistema non è corretto e va completamente riformato. La “riforma Crimi” su questo tema prevedeva una progressiva revisione dei finanziamenti pubblici in questo settore, cercando di venire incontro alle piccole realtà locali, alle start-up innovative nel campo dell’informazione, avendo come scopo un incentivo alla pluralità dell’informazione vera. Poi occorre andare verso un finanziamento diretto, con norme come quella che abbiamo varato sui 30 milioni di credito d’Imposta per gli incrementi degli investimenti pubblicitari nei giornali, una sorta di investimento indiretto che va agli editori e non ai giornali. Attenzione però, non bisogna limitare il discorso sulla libertà di stampa a una mera questione economica, perché c’è molto di più da riformare”.
Luca Rossi
Il fondo de ilCaffè
La verità fa male alla politica
La politica come controlla il proprio paese? Controllando l’informazione.
E come si controlla l’informazione? Mettendo i giornalisti in condizione di non poter scrivere quello che dovrebbero, cioè la verità dei fatti.
La democrazia si esprime in Italia con una sorta di equilibrio degli schieramenti mediatici: ci sono i giornalisti di destra e di sinistra, che si dividono i posti nelle varie testate. Questa continua zuffa mediatica dà all’italiano la sensazione di una informazione che rispetta il pluralismo. Ma ‘pluralismo’ non è sinonimo di verità.
Chi si occupa allora di cercare e raccontare la verità?
La risposta è: (quasi) nessuno. Perché per chi davvero ricerca la verità, nella sua completezza, non c’è posto nell’editoria italiana.
L’Italia oggi è l’unico paese occidentale dove le leggi permettono alla politica un completo controllo dell’informazione: questo non è complottismo, ma è il risultato di quanto scritto nero su bianco nei codici penale e civile.
L’arma principale che la politica ha per imporre il proprio dominio sui media è proprio la querela.
Negli USA per chiedere la condanna di un giornalista non basta che questo abbia scritto determinate cose, l’accusatore deve anche dimostrare che l’abbia fatto proprio con la volontà di danneggiarlo; in Italia basta sbagliare un verbo per finire davanti a un giudice. Il giornalista quasi sempre viene assolto, ma intanto deve pagarsi un avvocato e fare per anni su e giù per i tribunali: così la prossima volta ci pensera due volte a scrivere quelle verità molto scomode per qualcuno.
Tutto questo ammenoché non siate ‘protetti’ da qualche sponda politica. Così è. E così deve rimanere.
Ecco perché da più di 70 anni in Parlamento non si riesce ad approvare una legge sulle querele temerarie (ovvero fatte a scopo intimidatorio) contro i giornalisti. La politica deve rimanere l’unica dispensatrice di verità.
di Stefano Carugno
Direttore Responsabile
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