Natale 2019. Capodanno. Epifania. Le Feste si sono portate via tutto. E tutti. I regali, le ferie, persino i parenti saliti o scesi per celebrare insieme date importanti per tutte le famiglie, religiose e non. Solo una cosa è rimasta, immarcescibile ed eterna come la nostra città, tenace nel non abbandonare le nostre strade, arredo ormai inevitabile del nostro paesaggio urbano: la monnezza. Che non è solo spazzatura, ma è la sua variante del centro sud, una parola che con le sue doppie e quella emme che foneticamente, pronunciandola, doppia se non tripla lo è pure lei, ti fa sentire l’olezzo insopportabile di quei rifiuti stantii, lo schifo che provi guardandola, l’enormità grottesca dei cumuli che invadono i cassonetti e straripano fuori. Un giorno ne parleremo più a fondo, ma quell’emergenza che un tempo era il simbolo di Napoli, tra gli anni ’80 e ’90, è diventata il francobollo sulla cartolina di Roma, inaspettatamente. Dopo la stagione migliore, quella rutello-veltroniana, almeno per quanto riguarda il decoro urbano e l’immagine della nostra città, si è scatenato uno tsunami di zozzeria, che ha attraversato amministrazioni di tutti i colori. Qui non parliamo dei peggioramenti visti nell’amministrazione Raggi: ci sono stati tentativi di rendere più virtuosa l’Ama e in generale più limpidi ed efficaci i meccanismi burocratici e strutturali che ingolfano il sistema che ci fa annegare nei liquami di una città in decomposizione. Tentativi goffi e fallimentari, è vero, ma gli altri non è che abbiano fatto molto di meglio. Il peccato originale lo sappiamo: una mancata programmazione sul riciclo, sullo stoccaggio, sui sistemi di eliminazione dei rifiuti, a causa di politici ed elettori drogati da ideologie e ignoranza dei metodi di smaltimento. Ma non possiamo e non dobbiamo trattarlo solo come un problema amministrativo. Non lo è. È un problema di tutti noi, causato da ognuno di noi. Kennedy ci direbbe di non chiederci cosa può fare questa città per noi, ma cosa possiamo fare noi per questa città. La Capitale, sui rifiuti, è stata per anni ricattata, ma allo stesso tempo ha appaltato una funzione pubblica a un privato, pagandolo profumatamente per mettere la polvere sotto il tappeto (metafora tragicamente calzante). L’impianto di Malagrotta è stato il cancro di questa città, ma anche ciò che le ha consentito di sopravvivere suonando sul Titanic, e soprattutto rappresenta perfettamente il difetto supremo di questa metropoli, la sua approssimazione innalzata a sistema, quel nuotare nella zona grigia tra legalità e giustizia, quel rimanere nominalmente nelle norme (e mafia capitale dimostra che spesso si è andati oltre) e cercare ogni scorciatoia perché la convenienza individuale o il vantaggio politico sono stati sempre (o quasi) più importanti del bene pubblico. Ecco perché la spazzatura non è solo un problema amministrativo e politico, ma anche civico. Che coinvolge Roma, ma soprattutto i romani. Che appunto devono essere generosi, mettersi in gioco. Questa rimane la nostra città. I sindaci se ne vanno, le coalizioni politiche pure, gli assessori, soprattutto se 5stelle, durano meno delle mezze stagioni, ma Roma non è la città eterna a caso. E non siamo mai andati più vicini a farla morire, neanche i barbari sono riusciti in ciò che hanno fatto i romani negli anni 2000. E l’immondizia ne è un simbolo, non solo un problema, un’emergenza igienica e di decoro, ma anche etica ed estetica. Se noi al massimo mettiamo la nostra indignazione su Instagram mostrando le parossistiche montagne di organico e plastica, di cartoni e di rifiuti fuori misura, di animali inconsueti per il contesto urbano che pascolano in mezzo ad essi, invece magari di fare un metro in più per trovare cassonetti più vuoti o di chiamare l’Ama ossessivamente o sforzarci di stoccare la nostra spazzatura e di spingerla laddove deve essere raccolta per trovare spazio invece di depositarla pigramente a terra perché altri lo hanno fatto allora non siamo migliori di chi critichiamo. Se i numeri della raccolta differenziata sono bassi – la metà dei comuni italiani più virtuosi, il 20% in meno di quanto promesso pochi anni fa – è colpa dei cittadini, non dei sette amministratori delegati di Ama avvicendatisi in 3 anni e mezzo (questo solo durante il governo Raggi). Se produciamo quasi 1,7 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno – l’educazione ambientale dovrebbe partire dalle nostre dispense -, numero in continuo rialzo, non è colpa dei due terzi dei 281 mezzi pesanti che sono ancora dell’epoca Rutelli. Nel frattempo l’Ama deve ricevere 40 milioni di euro dal Comune, che sostiene di aver pagato fatture mai emesse, ma noi la vediamo solo come una delle tante partecipate statali “vampiro”. Pensiamo a cosa possiamo fare noi per Roma. Essere civili, per esempio. Perché sono “i romani a esse zozzi, all’Ama so’ solo str…” ha detto un vecchio saggio del mio quartiere, facendo (quasi) la rima. E ha ragione da vendere.
Boris Sollazzo