L’Aula Giulio Cesare ha detto “sì” e per di più all’unanimità al salva-Roma, ma senza clamori mediatici, verrebbe da dire quasi sottovoce. Lo scorso 16 gennaio i consiglieri capitolini hanno votato l’atto formale con cui il Campidoglio ha proposto ai propri creditori di accettare il passaggio formale della responsabilità del debito a nove zeri accumulato dal Comune di Roma nelle mani dello Stato. Più precisamente in quelle del Ministero dell’Economia, che intanto fa sapere che «l’accollo del debito è divenuto efficace in data 27 gennaio». In sostanza a rispondere almeno di una parte dei ‘buffi’ dell’Urbe, pari a circa 3,6 miliardi di euro, non sarà più la Capitale, ma tutti i cittadini italiani. Una delibera accompagnata da un paio di passaggi abbastanza insoliti accaduti prima del voto definitivo: il voto unanime di maggioranza e opposizione, per una volta uniti senza battibecchi, nonostante nei mesi scorsi il cosiddetto decreto Salva-Roma abbia a più riprese infiammato in particolare i rapporti tra Matteo Salvini, leader della Lega che chiedeva che il provvedimento venisse esteso anche ad altre città di centro-destra, e la sindaca di Roma, ai tempi del governo Conte I. Ma soprattutto nessun discorso di nessuno dei consiglieri, né nella fase di discussione generale del provvedimento né nella fase di dichiarazione di voto. IL FARDELLO DEGLI INTERESSI I 3,6 miliardi di debito sono in pratica originati dagli 1,4 miliardi di euro di buoni “City of Rome” emessi dall’ente capitolino nel lontano 2003, durante il mandato di Valter Veltroni, a cui vanno aggiunti i pesanti interessi. Tecnicamente si tratta di obbligazioni, per la precisione Buoni Ordinari Comunali (Boc). In pratica da quelle obbligazioni “City of Rome” il Comune ha incassato 1,4 miliardi, ma ne deve restituire 3,6 entro il 2048, a causa di un tasso d’interesse che supera il 5%. I soldi ottenuti in prestito dal Comune, portarono nel 2008 il debito complessivo a più di 22 miliardi di euro, ingestibile da un comune. E così arrivò in aiuto la manina statale, per la precisione quella del Ministero dell’Economia e Finanze: lo Stato avrebbe pagato 300 milioni l’anno, ovvero una parte della rata annuale, ma a Roma spettava ancora il pagamento di 200 milioni l’anno; inoltre lo Stato impose un commissariamento dei conti della Capitale, tuttora vigente.
IL DOPPIO AIUTINO DAL TESORO
Roma è in pratica bloccata dagli enormi debiti e da quel lontano commissariamento ancora attivo. Ed ecco che è arrivato il secondo aiutino, sempre dal Tesoro, con quello che è stato battezzato il ‘decreto Crescita’ varato dall’ex governo gialloverde e già convertito definitivamente in legge. Quel debito obbligazionario contratto da Veltroni sarà dunque trasferito al Ministero dell’Economia, chiudendo di fatto entro il 2022 la struttura commissariale. «Il Ministero – ha spiegato in aula Giulio Cesaro l’assessore al Bilancio della Raggi, Gianni Lemmetti – ha manifestato la volontà di accollarsi il debito. Si andrà dunque a cambiare il sottoscrittore del prestito in modo da diminuire l’impatto finanziario degli interessi». Tradotto, lo Stato ha un’affidabilità creditizia maggiore rispetto al super-indebitato Comune di Roma: in ragione di ciò può rinegoziare il tasso d’interesse, ottenendo percentuali minori. Eccolo il risparmio per le casse pubbliche. Per quelle però del Tesoro, che dovrà pagare meno dei 300 milioni l’anno attuali.
L’OK DEI CREDITORI
Roma Capitale si toglie così dal groppone un bel fardello, ma dovrà certo continuare a sborsare la propria quota da 200 milioni di euro l’anno. Già, perché il debito dei romani diventa sì di tutti gli italiani, ma il tesoretto che lo Stato otterrà dalla rinegoziazione di tale massa debitoria verrà utilizzato per tamponare i passivi di altri comuni capoluogo in emergenza finanziaria. Significa che il Comune di Roma non potrà abbassare le tasse aeroportuali e un’aliquota Irpef maggiorata dello 0,4% rispetto allo scaglione massimo. Entrate con cui finanzia il proprio contributo alla ristrutturazione del debito. Il vero vantaggio per Roma è quello della decadenza degli stringenti vincoli sulla spesa pubblica che comporta il commissariamento. Un’operazione, di fatto, accolta positivamente anche dai titolari delle obbligazioni, soprattutto banche ed istituti di credito. L’assemblea dei creditori ha votato favorevolmente il passaggio del debito allo Stato, che ora diviene dunque ufficiale.