IL TEMA DELLA GIORNATA DI DIALOGO
A dare un orizzonte di senso comune alla meditazione condivisa su quali risorse offrano le tradizioni ebraica e cristiana per affrontare la difficile prova della pandemia sono state le parole del capitolo 29 del libro di Geremia, scelte come tema della XXXIII Giornata di dialogo tra cattolici ed ebrei. Il capitolo riporta una lettera che il profeta, secondo la tradizione, inviò agli ebrei esiliati a Babilonia, tra la prima e la seconda deportazione operata nel VI secolo a.C. dal re babilonese Nabucodonosor, il quale, per dimostrare la sua totale vittoria non solo sul Regno di Giuda, ma proprio sul Dio degli ebrei, distrusse le mura e il Tempio di Gerusalemme, quindi radunò tutto il popolo e uccise al re di Giuda i suoi figli davanti a lui, accecandolo e lasciandolo in vita, in modo che chiunque sentisse i suoi lamenti si ricordasse di come era stata distrutta la Città santa e spezzata la stirpe di Davide. Il trauma era stato profondo, indelebile, ed esso resta, assieme alla schiavitù in terra d’Egitto e alla Shoah, tra le ferite più dolorose ricordate dalla tradizione ebraica.
In quel contesto tremendo il profeta, nella sua lettera, esorta gli esiliati in Babilonia a non abbattersi, a coltivare la propria vita e il proprio bene, a fare figli e ad arricchire coi propri talenti anche quel paese straniero, e proprio queste risorse di fede e di speranza sono state, attualizzate nel nostro tempo, al centro del dialogo tra Tolentino de Mendoça e Di Segni.
LE PAROLE DEI PROTAGONISTI

Ad aprire i lavori dell’incontro è stato il cardinale vicario Angelo De Donatis, che ha ricordato come: «Una lettura spaventata e semplificata della realtà» possa arrecare danni enormi al bene comune.
«Domande nuove – ha aggiunto De Donatis – cercano risposte nuove, da ricercarsi non senza la saggezza dei padri e la visione di Bene cui siamo entrambi ancorati, sia ebrei che cristiani». Aprendo l’evento, moderato da don Marco Gnavi, incaricato dell’Ufficio per ecumenismo, dialogo interreligioso e nuovi culti della diocesi di Roma, De Donatis ha anche richiamato: «l’abisso della Shoah» aggiungendo: «Quando con dolorosa sorpresa simboli di morte come la svastica nazista vengono riesumati, abbiamo il dovere di indicare le linee di demarcazione tra bene e male». Denso e significativo è stato anche l’intervento del Rav Riccardo di Segni il quale, medico per formazione professionale, ha battuto con forza il tasto della vaccinazione, arma fondamentale per affrontare la pandemia. «Meglio affrontare un minimo rischio per salvarsi da un rischio molto più grande» ha spiegato Di Segni, aggiungendo che: «La novità degli ultimi decenni è la coscienza che la vaccinazione di massa produce la cosiddetta immunità di gregge. Vaccinarsi non diventa il sistema per difendere solo me stesso ma tutta la società». Il Cardinale José Tolentino de Mendoça, infine, nel suo intervento, ha ripreso etimologicamente la parola “risorsa” presente nel titolo dell’evento, spiegando che: «Per noi cristiani la parola risorsa ha un nesso significativo con la parola Risurrezione. Dove ci sono morte e lutto siamo chiamati a rendere operativa la speranza».
«La pandemia – ha spiegato il cardinale – ci trasferisce a un nuovo livello della storia, chiamandoci ad elaborare, subire ed essere protagonisti di un cambiamento d’epoca. Il momento presente – ha aggiunto ancora il porporato – richiede una revisione che conduca non solo alla salute, ma alla salvezza. Si tratta di elaborare un profondo cambiamento di civiltà, un cambiamento di logica che ci porti a riconoscere la vulnerabilità di ogni io e ci conduca a riconoscerci tutti fratelli».