Alessandra Rinaldi, partiamo subito dal mondo delle donne: oggi cosa significa fare cooperazione al femminile, quali difficoltà si incontrano?
“Il modello cooperativo è sicuramente capace di creare le condizioni culturali, sociali e formative affinché le donne possano lavorare e raggiungere obiettivi fino ad ora difficilmente realizzabili. Perché la cooperazione è una vera e propria scuola di democrazia, dove i soci partecipano attivamente ed in modo egualitario alle scelte relative alla vita cooperativa e lavorativa. Essere cooperativa non significa, infatti, essere semplicemente la somma di individualità ma rendere evidente come i talenti individuali possano risultare potenziati all’interno di un progetto collettivo, cooperativo appunto! Le difficoltà sono, poi, le stesse che caratterizzano il mondo femminile in genere: la conciliazione della vita personale e familiare con quella lavorativa, la credibilità e le garanzie finanziarie ma anche il raggiungimento dei ruoli apicali”.
Il Covid ha peggiorato, e se sì, in che modo, la condizione delle donne?
“Purtroppo sì, i dati in merito sono eclatanti. Questo perché la maggior parte dei settori in cui le donne sono occupate sono anche quelli più vulnerabili e colpiti dalla pandemia. La chiusura delle scuole, poi, ha aumentato i carichi di cura già normalmente spettanti alle donne e aumentato la preclusione o limitazione della regolare continuazione dell’attività lavorativa. Il lockdown e la perdita di lavoro hanno, infine, purtroppo favorito notevolmente l’aumento degli episodi di violenze sulle donne, avvenendo questi soprattutto entro le mura domestiche e per mano dei propri partner”.
Come Confcooperative cosa state mettendo in campo per far fronte a queste difficoltà?
“Innanzitutto Confcooperative ha istituito la Commissione Dirigenti Cooperatrici, un luogo per favorire l’empowerment femminile, la contaminazione costruttiva ed il networking tra cooperative e cooperatrici, attraverso un percorso dedicato e azioni formative specifiche. È stata, poi, avviata una campagna nazionale contro la violenza di genere denominata #fattisentirecontrolaviolenza che Confcooperative si sta impegnando a promuovere su ogni territorio con iniziative di vario genere: diffusione campagna social, testimonianze, webinar e altro ancora. Mi preme poi sottolineare che la Commissione Lavoro del Lazio ha anche partecipato attivamente alla approvazione della recente Legge sulla “Parità salariale tra i sessi, il sostegno all’occupazione e all’imprenditoria femminile” della Regione Lazio, attraverso la presentazione di vari emendamenti, molti dei quali accolti. Nonché sono state appena nominate due vicepresidenze femminili”.
Possiamo cogliere un aspetto positivo, o quantomeno cercare di coglierlo, perché, come dice Papa Francesco, peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla?
“Certamente. Noi cooperatori, peraltro, siamo abituati a buttare il cuore oltre l’ostacolo, a vedere il possibile quando anche non sembra possibile possa accadere. Di aspetti positivi, quindi, ne voglio citar più di uno. Il poterci fermare e vivere dei ritmi più lenti ci ha portato alla riscoperta dei rapporti interpersonali, ad una maggiore cura delle relazioni. Papa Francesco del resto ci ha anche ricordato che “nessuno si salva da solo” e che la vera vittoria è farcela insieme. Ed è in questo essere insieme, così tanto caratterizzante il modello cooperativo, che abbiamo la possibilità di dare una nuova visione all’economia… perché il sistema applicato fino ad oggi ha alimentato o in alcuni casi addirittura amplificato le disuguaglianze territoriali, sociali e di genere, dimostrandosi realisticamente poco inclusivo e sostenibile. Dovremmo, invece, far crescere la consapevolezza che una buona economia fa una buona società e una buona società fa una buona economia”.
Il Sistema sanitario ha mostrato le sue falle, ci si è accorti che serve una presa in carico multidisciplicare del paziente. Nel Lazio siamo pronti per una nuova Sanità dove sanitario e sociale possano fare rete?
“Sono anni che il mondo della cooperazione afferma che è fondamentale integrare il sociale e il sanitario. È per questo che stiamo lavorando nelle sedi opportune per portare il nostro punto di vista perché sappiamo quanto sia fondamentale realizzare una medicina territoriale che sappia integrarsi con altri servizi e opportunità per costruire le vere basi del benessere sociale”.
Nel PNRR c’è molto spazio al divario di genere, forse un po’ meno al mondo del terzo settore, che ne pensa? Ci sono dei progetti condivisi con la Regione che presenterete?
“Penso che il mancato riconoscimento del ruolo fondamentale che il Terzo Settore ha nella comunità sia un problema culturale che si trascina da troppo tempo, eppure siamo stati in prima linea, accanto a medici ed infermieri, ad occuparci delle fragilità più importanti del nostro territorio. È bello vedere oggi che la cooperazione ha voglia di ampliare una narrazione che valorizzi quanto attraverso le nostre realtà si realizza. Parlo di saper generare inclusività, coesione territoriale e sociale, capacità di coniugare sviluppo e sostenibilità tanto per citarne alcune. Con la Regione il dialogo e la collaborazione sono sempre costanti. Crediamo fortemente che la co-progettazione e la co-programmazione siano il motore del cambiamento che vogliamo vedere realizzarsi”.