Dottor Bisogni, è un momento di emergenza a livello globale, c’è il rischio per gli studenti di perdere la sessione?
Ci siamo appena lasciati alle spalle la sessione di esami invernale, che si è conclusa lo scorso 15 febbraio. Sono ora in corso lezioni ed esami di laurea nel rispetto delle norme precauzionali previste per evitare il contagio. Stiamo convogliando tutte le nostre energie verso un comune obiettivo: tutelare la salute dell’intera comunità universitaria facendo in modo che il ritmo della vita accademica non subisca battute di arresto.
I ragazzi sembrano i più restii a rispettare le regole imposte dal Governo…
Credo che questa forma di irresponsabilità sia dettata da un irrealistico ottimismo. E non riguarda soltanto i giovani. Riteniamo noi stessi più immuni degli altri agli eventi negativi che sfuggono al nostro controllo. Una tendenza diffusa a credere che ciò che reputiamo indesiderabile non capiterà a noi. Ci troviamo a fare i conti con un errore di giudizio che ci porta a collocarci in uno stato di basso rischio rispetto a qualunque altra persona. Una distorsione ottimistica particolarmente forte nei giovani, ma non necessariamente connessa all’età, che ha come diretta conseguenza una bassa percezione e una scarsa consapevolezza dei rischi connessi alle proprie azioni e dell’impatto che il singolo può avere sulla società.
Il mondo virtuale in questo momento rappresenta un grosso vantaggio, ma non c’è il rischio che ci si chiuda troppo?
Gli strumenti tecnologici che abbiamo a disposizione potranno ora essere messi al servizio del nostro lato più umano. Impareremo ad alimentare per quanto possibile le relazioni reali attraverso la realtà virtuale. Ci abitueremo a rispettare le distanze fisiche che le attuali circostanze ci impongono e la tecnologia sarà in grado di accorciarle. Impareremo da giovani e giovanissimi, sposeremo il loro modo di rapportarsi gli uni agli altri. Coltiveremo con strumenti digitali i nostri rapporti reali. A evolversi sono unicamente le nostre modalità comunicative, il nostro bisogno di interagire e creare reti di fiducia resta. Non vedo quindi nel mondo virtuale un pericolo di chiusura, di inaridimento dei rapporti interpersonali. Temo piuttosto la rete come terreno fertile per la circolazione di informazioni non vagliate con accuratezza che ostacolano la nostra capacità di orientarci e di individuare fonti affidabili.
Voi siete un’università che guarda molto all’estero, come state reagendo?
In un momento come questo le relazioni internazionali devono essere coltivate in un’ottica di condivisione delle buone prassi. Minacce come quella del Covid-19 non conoscono confini. Non ci sono frontiere in grado di arrestarle. Esistono però comportamenti e mentalità in grado di contenerle. Ci sono distanze da tenere e distanze da ridurre al massimo. E mi riferisco con le seconde a quelle tra i paesi impegnati a fronteggiare l’emergenza. Per vincere una sfida comune è necessaria una risposta comune. E questo presuppone un grande sforzo di coordinamento internazionale. La nostra reazione è quella di un Ateneo internazionale. Non cambia il nostro modo di guardare all’estero. Continua la nostra azione di sensibilizzazione rispetto alla pericolosità di sterili chiusure.
Di che numeri parliamo, quante lezioni giornaliere online tenete, che risposta vi aspettate? Si faranno online anche le tesi di laurea?
Per l’intero periodo di chiusura legato all’emergenza Coronavirus la quasi totalità delle nostre lezioni si tiene a distanza attraverso piattaforme di collaborazione e condivisione in tempo reale negli stessi giorni e nelle stesse ore previsti dall’orario delle lezioni. La risposta da parte di studenti e docenti nell’impiego di queste tecnologie è stata straordinaria. E straordinario è stato l’impegno del personale tecnico-amministrativo nella messa a punto di un sistema che ci consentisse di adottare in tempi estremamente ridotti modalità di erogazione della didattica cui l’Ateneo per sua stessa natura non è incline. In uno stato di emergenza l’organizzazione ha potuto mettere alla prova la propria mente reattiva. Ed è stata in grado di tramutare una minaccia esterna di blocco in un’accelerazione del proprio ritmo di apprendimento. Usciti dalla crisi, avremo favorito lo scambio di buone prassi tra docenti quanto all’innovazione della didattica nelle metodologie e avremo potenziato le attività di supporto nell’impiego di nuove tecnologie. Citando Louis Pasteur “L’occasione favorisce solo la mente che vi è preparata”. Le sedute di laurea hanno luogo esclusivamente a distanza. L’emozione di candidati e candidate sarà stata probabilmente la stessa, lo stato adrenalinico anche, ma a separare candidati e commissione c’è stato uno schermo.
Non temete possano cambiare gli scenari futuri, con una chiusura soprattutto verso la Cina?
L’emergenza non riguarda più soltanto la Cina. Localizzata l’origine di questa crisi, abbiamo necessità di mitigare gli effetti del suo propagarsi in tutte le aree colpite. Il virus si è dimostrato capace di valicare confini nazionali e continentali. E lo stesso ha fatto la paura del contagio. Dobbiamo fare i conti con la faccia cognitiva dell’epidemia. E con il suo profilo interculturale. Per noi italiani l’emergenza ha rappresentato anche la possibilità di capire come ci si sente a essere oggetto di stigmatizzazione. Cosa che ci insegnerà a essere più tolleranti in futuro e ad affrontare più uniti le difficoltà che deviano il corso dei rapporti, senza per questo interromperli.
Voi solitamente proponete anche periodi all’estero, in questo momento di blocco totale degli spostamenti su cosa si può puntare?
Ci spostiamo con la mente. Restiamo a casa con il corpo e varchiamo la soglia dei paesi del mondo di cui studiamo le lingue esplorandone cultura e società. È un ottimo antidoto contro l’isolamento delle menti. In questo, facciamo forza sulla comunità internazionale di docenti che insegnano nelle nostre Facoltà. Basti pensare alla numerosità dei docenti con madrelingua diversa dall’italiano della Facoltà di Interpretariato e Traduzione e ai docenti che svolgono o hanno svolto attività professionale presso le più importanti organizzazioni internazionali.
Parliamo di futuro, questa emergenza cambierà per sempre il modo di studiare?
Questa emergenza rappresenta l’opportunità di potenziare le modalità di studio e di lavoro finora adottate grazie a una valutazione strategica delle più idonee tecnologie a supporto della didattica e della ricerca e delle migliori soluzioni per la fruizione delle risorse. Rende tutti più maturi rispetto a tecnologie già esistenti, ma non pienamente sfruttate. E dà una spinta non indifferente al settore delle tecnologie per la didattica che conoscerà ulteriori sviluppi grazie a un’estensione del proprio bacino di utenza.
Anche a livello economico sarà durissima riprendersi, voi come università cosa potete fare concretamente?
Di fronte a una crisi abbiamo sempre due possibilità. Subirne gli effetti o governarne gli sviluppi. Aggirare un ostacolo presuppone una buona dose di creatività. E l’Università attraverso il sapere allena le menti alla creatività e trasmette le competenze necessarie affinché sia possibile affrontare l’emergenza. Che si tratti della gestione delle relazioni internazionali, di abbracciare i valori di culture diverse dalla propria, di intercettare le opportunità di crescita in un momento di stasi o di sviluppare le abilità necessarie ai fini di un’efficace gestione delle emergenze.