Fabio Massimo Castaldo, 35 anni, è vice presidente del Parlamento europeo dal 2017 e in queste settimane non ha mai lasciato Bruxelles per gestire le sedute plenarie. A Il Caffè ha parlato di come l’Italia sta soffrendo l’ingerenza di alcuni Stati in questa emergenza coronavirus, ma come l’Europa non possa fare a meno dell’Italia.
C’è preoccupazione per come l’UE sta gestendo l’emergenza Coronavirus. Nazioni come Olanda, Austria e Germania sono fredde rispetto alle richieste di aiuto dei paesi più colpiti. L’Europa sta perdendo l’Italia?
L’Italia è un Paese fondatore dell’Unione Europea, uno dei principali pilastri di un progetto di integrazione che ha garantito pace e stabilità, ma che negli ultimi decenni si è mostrato in colpevole affanno. L’Europa non può comunque esistere senza l’Italia, ma è anche vero il contrario. Il nostro è un Paese che esprime una quantità straordinaria di eccellenze, prodotti di qualità che esportiamo e che verrebbero penalizzati dall’introduzione di dazi sulle importazioni da parte degli altri paesi europei. E se il Made in Italy è uno dei nostri punti di maggior orgoglio non dobbiamo neanche dimenticare che al nostro sistema produttivo servono in maniera imprescindibile le materie prime che importiamo, che verrebbero rese proibitive da dazi in entrata. Slegarci dall’Europa danneggerebbe il nostro sistema produttivo e tradirebbe l’impegno storico che il nostro Paese ha preso 60 anni fa.
Il disincanto sembra aver contagiato una parte significativa degli italiani. Un sondaggio di marzo di Tecnè dice che il 67% degli interpellati giudicava l’appartenenza dell’Italia all’Unione europea uno svantaggio.
Il risultato di questo sondaggio non è casuale: si parte dal presupposto che l’integrazione è stata costruita in modo improvvido, perché non può esistere una vera unione monetaria se non c’è una vera unione economica e fiscale. Questo vuol dire che ci sono Stati come l’Olanda, la Germania, la Danimarca, l’Austria che, pur essendo Paesi che dovrebbero pagare di più, difendono il privilegio degli sconti al bilancio ottenuti in passato e che invece di applicare gli stessi criteri degli altri Paese pagano molto meno di ciò che dovrebbero. Si pensi, per esempio, che per ogni euro versato l’Olanda ne acquisisce 12 di vantaggi sul mercato comune. È un trattamento profondamente iniquo che noi non possiamo permettere.
Ragioniamo per assurdo: la maggioranza degli italiani vota Sì al referendum per l’uscita dall’UE. Cosa succederebbe?
Capisco il sentimento di frustrazione, ma pensiamo alla Gran Bretagna, sebbene con le dovute differenze. La Gran Bretagna non è un Paese appartenente all’Eurozona eppure la Brexit ha dovuto affrontare un negoziato difficilissimo, con la caduta di due Governi. Pensiamo cosa potrebbe significare soltanto parlare di Ital-exit in termini di instabilità dei mercati, di aumento vertiginoso dello Spread e di attacco speculativo nei confronti del nostro Paese. In pratica, avremmo un default addirittura prima di tenere il referendum e dunque è un’ipotesi totalmente irresponsabile.
Sulla gestione dell’emergenza coronavirus gli altri Paesi Ue hanno preferito, a differenza dell’Italia, scegliere una strada di basso profilo e pochi controlli, salvo poi correre ai ripari. Come mai non esiste un protocollo unitario di azione rispetto alle emergenze sanitarie in Europa?
Quella causata dal Covid-19 è una crisi senza pari, a livello europeo ma soprattutto mondiale. Fatta questa premessa, l’Italia ha adottato misure tempestive e fin dai primi casi scoperti mentre gli altri Paesi non hanno fatto tesoro dell’esperienza italiana. L’assenza di un protocollo unitario di risposta alla pandemia deriva dal fatto che l’Europa non può adottare autonomamente misure a carattere sanitario, ma può coordinarsi con gli Stati membri nella fase di segnalazione e di successiva gestione delle emergenze. L’attuale quadro europeo prevede un sistema di allarme rapido e di reazione (EWRS) che consente ai paesi dell’UE di segnalare tempestivamente eventi con un potenziale impatto sull’UE, condividere informazioni e coordinare la risposta. A questa fase segue una valutazione del rischio sanitario ed un coordinamento degli Stati Membri con la Commissione allo scopo di coordinare le varie risposte nazionali e la comunicazione dei rischi e delle emergenze al pubblico e agli operatori sanitari.
Nel caso dell’attuale pandemia è mancato, non solo e non tanto il coordinamento, ma soprattutto la solidarietà da parte di paesi come la Germania, la Francia e altri Stati che hanno dato prova di pessimo atteggiamento, bloccando l’arrivo di presidi sanitari nel momento in cui sarebbero stati molto importanti e avrebbero potuto salvare delle vite.
L’Italia sembra essere riuscita a gestire l’emergenza sanitaria. Si può dire che abbiamo un ottimo sistema sanitario che è un’eccellenza in Europa?
Assolutamente sì. Penso sia sotto gli occhi di tutti. Stiamo riuscendo in questa impresa grazie ai medici, infermieri, operatori sanitari, volontari, che si stanno occupando dei malati con dedizione e impegno ineguagliabili. Questo sforzo dovrebbe essere premiato anche in futuro, indipendentemente dal Covid-19: innegabile che la preparazione e l’impegno del nostro personale non abbia avuto un giusto riconoscimento in passato, a causa dei tagli alla sanità che hanno caratterizzato molte regioni italiane. Stessa cosa per la ricerca, ambito imprescindibile dalla cura, nel quale abbiamo eccellenze a livello mondiale, come la prima ricercatrice ad isolare la sequenza DNA del Covid-19 allo Spallanzani di Roma. La sfida del post-emergenza Coronavirus sarà quindi capitalizzare gli sforzi dei nostri ricercatori, dei medici, e di tutti coloro che si sono operati per sconfiggere questo virus.
Il Meccanismo europeo di stabilità (MES) è stato al centro del dibattito politico nazionale negli ultimi giorni. Come spiegherebbe alle persone che non masticano di economia e di Europa, che tipo di accordo è stato raggiunto?
Il ricorso al MES è stato recentemente più volte proposto per venire incontro agli Stati che devono affrontare questo momento di eccezionale gravità. La possibilità del suo utilizzo si è concretizzata durante l’ultimo Eurogruppo durante il quale si è proposto un sostegno pari al 2% del PIL agli Stati Membri per affrontare le spese sanitarie. In particolare, è stato proposta una linea per accedere al credito “light” il che significa – per intenderci – che non ci sarebbero condizionalità particolari da rispettare per ottenere i prestiti, se non l’utilizzo condizionato alle spese sanitarie. Quello che però molti non dicono è che le condizionalità ci sarebbero al momento della restituzione del prestito e che – secondo le norme vigenti – queste condizionalità possono essere applicate in corso d’opera. Per questo il M5S, continua ad essere contrario a questo strumento. Tuttavia, i dettagli devono essere ancora definiti e il quadro sarà più completo dopo il Consiglio del 23 Aprile. Per questo mi associo al nostro Presidente Giuseppe Conte nel dire che prima dobbiamo vedere gli aspetti tecnici per dare una valutazione puntuale.
In Europa si è infiammato il dibattito sui coronabond. Secondo lei, perché la Germania e i Paesi Bassi sono contrari a questo strumento per sostenere gli Stati più colpiti dalla pandemia?
La questione Gemania-Olanda non è nuova: negli anni questi paesi hanno imposto la loro visione austera nell’intero quadro legislativo europeo. Sempre loro, hanno posto l’accento sulla riduzione dei rischi e mai sulla condivisione dei rischi stessi. Tuttavia, nessuno – e qui mi riferisco senza mezzi termini alla Commissione europea – ha mai preso misure contro questi Paesi nonostante il fatto che fosse palese che le esportazioni nette della Germania siano molto superiori alle importazioni nette, causando squilibri nell’area euro. Così come nessuno ha mai preso provvedimenti per far fronte al fatto che l’Olanda agisca come paradiso fiscale nella tassazione delle multinazionali. Quindi, la loro posizione durante questa crisi, non sorprende più, ma la vera questione è quanto l’UE può andare avanti se a prevalere sono gli egoismi al posto della solidarietà?
C’è davvero un rischio esistenziale per l’Europa? O il coronavirus è un’opportunità per solidificare l’unione degli stati europei?
Jean Monnet, uno dei padri fondatori dell’Unione europea, era solito dire che “l’Unione europea si fa durante le crisi”. La situazione in cui ci troviamo adesso, rappresenta indubbiamente una possibilità per andare avanti nel processo di integrazione europea. Ma se a prevalere continueranno ad essere gli egoismi particolari dei paesi del Nord Europa, è lecito non intravedere un futuro dell’UE. Il progetto di costruzione dell’UE non si ferma alla mera costruzione di un mercato interno con la libertà di movimento di persone, beni, capitali e servizi. L’UE come l’hanno immaginata i nostri padri fondatori è molto di più. Se i falchi capeggiati da Germania e Olanda non sono disposti a fare tutti un passo verso la giusta direzione, la disaffezione dei cittadini europei continuerà a montare e l’epilogo penso sarà inevitabile purtroppo.
In ultimo: cosa devono aspettarsi gli italiani dall’Europa per superare questa emergenza?
Riconosco che la risposta dell’Europa è stata inizialmente tardiva, ma adesso i capi di Stato e di governo si siederanno a un tavolo e dovranno avere il coraggio di adottare le scelte giuste, non per i singoli Stati, maper tutti i cittadini europei. È l’ora che gli Stati del Nord Europa inizino ad abbandonare gli interessi particolari e l’egoismo. Ci sono molte opzioni sul tavolo, e quella più accredita per noi come M5S rimane la creazione degli Eurobond ossia l’emissione di titoli per rispondere all’emergenza sanitaria e prevedendo una vera mutualizzazione del debito futuro. Gli altri strumenti messi sul tavolo, come ad esempio il Recovery Fund e il piano della BEI vanno sicuramente nella giusta direzione, ma abbiamo bisogno di conoscere meglio in dettaglio come saranno disegnati per avere un giudizio complessivo. L’UE ha una potenza di fuoco notevole che non ha nulla da invidiare agli USA. Con la BEI (Banca Europea degli Investimenti), la BCE (Banca Centrale Europea) e il bilancio UE, sicuramente siamo in grado di dare le risposte giuste. La questione è: sono gli Stati pronti a dare queste risposte?