Servirebbe una bacchetta magica per rendere una roccaforte la sanità, qui e ora, per affrontare al meglio l’emergenza coronavirus. Più specialisti, meno tagli, no ai cervelli in fuga. Ma la realtà è un’altra. E a Roma, come in Italia, i medici in prima linea devono fare il conto con problemi più basici. Poche mascherine e camici e soprattutto tamponi contati, per sanitari e i pazienti. Quella dei pochi, pochissimi tamponi per medici e infermieri in particolare è “un’emergenza nell’emergenza”, secondo Antonio Magi, il presidente dell’ordine dei medici e odontoiatri di Roma, l’ordine più grande d’Europa con i suoi 45.000 iscritti.
Dottor Magi, com’è la situazione… medici in trincea?
“Sì, ma senza armi. Sin dall’inizio senza mascherine. E i risultati si sono visti. Il 18 marzo i sanitari positivi in Italia erano 2898. Il 3 aprile se ne contavano 11.252. Oltre ottomila in più. Un dato sottostimato che fotografa tutto. Era importante proteggerli subito. Sono morti 77 medici”.
Allarme anche per Roma?
“Per ora la situazione in città è sotto controllo. Ma le criticità non mancano. Sono 151 i medici positivi nel Lazio: 116 a Roma, 13 a Latina di cui uno deceduto, 11 a Viterbo, 9 a Frosinone e 2 a Rieti. La vittima era un ginecologo di Latina iscritto nell’ordine di Roma”.
Quali sono le categorie più scoperte?
“Medici di famiglia, medici delle Rsa, dei presidi sanitari. Per loro scarse protezioni. Le distribuzioni sono state effettuate a macchia di leopardo. L’unica ventata di novità la telefonata che ho appena ricevuta (sabato 4 aprile ndr) dal vicepresidente della Regione Lazio, Leodori: stanno consegnando le mascherine. Aspettiamo per capire come e quante”.
Troppi errori?
“I problemi sono strutturali. Mancano specialisti, ad esempio. Mancano anestesisti, infettivologi…Bisognava formare nuovi colleghi rispondendo anche a esigenze di pianificazione. Siamo stati davvero poco avveduti. Mancano gli specialisti, dicevo. E molti sono andati all’estero. Bisognerà per il futuro invertire questa rotta”.
Roma e il Lazio reggono, Milano e la Lombardia no. Qual è la chiave?
“Posso rispondere per ipotesi. Ritengo che in Lombardia sia mancato il filtro territoriale. A differenza della nostra regione là non ci sono ambulatori territoriali, ma più ospedali. E in assenza di presidi del territorio sani e malati si sono precipitati tutti nei pronto soccorso. Non solo. Roma è la città delle sedi istituzionali. Una volta che chiudi a casa i ministeriali non escono. Nel Nord c’è stata più la spinta verso il lavoro. Si muovono di più. Specie chi vive di piccole imprese. L’altro fenomeno è legato al lavoro nero. C’è chi si è ritrovato a doversi muovere comunque. Invece la priorità è restare tutti a casa”.
Gli ospedali hanno funzionato bene a Roma?
“Tra i primi casi in Italia i due cinesi a Roma, ricoverati allo Spallanzani. Abbiamo fatto una ricerca epidemiologica capillare e bloccato il focolaio”.
Ci sono posti letto ospedalieri a sufficienza?
“Ci sono 7 centri Covid ora a Roma. Nel Lazio ci sono in tutto diecimila posti letto attrezzati anche con terapia intensiva”.
Che manca allora?
“A parte le mascherine e i tamponi, il personale. La politica è stata poco avveduta. Sono dieci anni che non si assume. Si va avanti a picconate di definanziamento. Sono stati investiti 7 miliardi in meno in dieci anni”.
Per i tamponi ci sono soluzioni?
“Fino ad oggi non abbiamo potuto fare i tamponi a tutti i medici. Potrebbero in compenso partire a breve i testi rapidi, i test sierologici. Saranno utilizzati innanzitutto sui medici e sul personale che lavora coi pazienti. Si punge un dito, si ricava una goccia di sangue e la risposta è rapidissima. L’istituto superiore della sanità ha dato l’ok”.
Che resta da fare nell’immediato?
“L’isolamento domiciliare. Non c’è altra possibilità. Intanto dobbiamo pensare alla fase due. Mascherine chirurgiche per tutti. E obbligatorie. Ma anche termoscan a volontà. I punti a rischio assembramento – stazioni metro, i grandi magazzini, ospedali, ministeri – dovranno essere sorvegliati da Triage. Altrimenti si potrebbero sviluppare altri focolai e si riaccende la spirale”.
E poi?
“Poi dobbiamo combattere l’altro virus, la burocrazia. Una fabbrica che si è riconvertita nel fare mascherine da pannolini ha avuto subìto un blocco di quindici giorni. Quando sono importanti anche le ore”.
Che fare ancora…
“Destinare le risorse per cose intelligenti. Bisognerà riprendere a pieno ritmo la gestione dei malati cronici, ora di fatto bloccata. Come per i cardiopatici, i diabetici…Bisognerà dare impulso alla telemedicina, al teleconsulto. Al riguardo si è espressa una delibera regionale. Le Asl ora si devono attivare. E allora si potranno sbloccare le liste di attesa. E rassicurare anche queste tipologie di pazienti”.
“Chi aveva la visita prenotata dovrebbe ricevere la videochiamata dello specialista”.
Servono altri fondi per le attrezzature?
“Basta pure uno smartphone personale”.
Lei è ottimista?
“Dobbiamo esserlo. La Cina e la Corea sembrano avercela fatta. Ma lì sono stati usati metodi più rigidi e la spesa la si portava a casa. E’ necessario un sostegno economico rapido per chi ha più difficoltà. Altrimenti si continuerà ad uscire per piccoli lavoretti. Bene le iniziative in campo ma devono essere accompagnate da tempi record. Bisognerà ancora monitorare chi non ce l’ha una casa. E stringere i denti, tutti, ma proprio, tutti nel rispettare le regole. Finché vedremo le scene di Napoli con troppa gente per strada non potremo stare tranquilli. Fortunatamente i romani stanno rispondendo bene. Anche i rom romani”.