Al costruttore romano Luca Parnasi restano meno di 40 giorni di tempo, per la precisione fino al prossimo 17 aprile per racimolare 67 milioni di € per pagare i creditori, scongiurare il fallimento del suo Gruppo edile e tentare la realizzazione del nuovo stadio della Roma a Tor di Valle. Tra i suoi creditori principali figura l’Agenzia delle Entrate che attende di ricevere 32 milioni di € di tasse non pagate. In sostanza è quanto ha deciso il Tribunale Civile di Roma, sezione fallimentare, nel corso dell’udienza dello scorso 17 febbraio. Da un anno e mezzo a questa parte è in corso un processo giudiziario che rischia di travolgere il pezzo più importante del Gruppo immobiliare riconducibile a Luca Parnasi, ossia la storica società Parsitalia spa, ma anche di avere ripercussioni potenzialmente fatali sulla restante parte del suo impero immobiliare. I creditori, almeno la parte più consistente di loro, non ha accettato la richiesta di ricevere una cifra più bassa, molto più bassa rispetto a quella loro dovuta, nonostante i tentativi portati avanti fino ad ora dai legali del Gruppo. Per Parnasi l’ultima chance di salvezza è rappresentata dall’ingresso sulla scena giudiziaria di Radovan Vitek, il ‘re’ del mattone della Repubblica Ceca, che dovrebbe comprare una parte del Gruppo e quindi anche dei debiti, pari in totale a circa 250 milioni di euro. La sua ‘calata’ è stata più volta preannunciata da tutti i giornali e radio sportivi (e non solo) della Capitale a partire da dicembre scorso, ma non si è ancora concretizzata. Per togliere le castagne dal fuoco al Gruppo Parnasi, entro e non oltre il prossimo 17 aprile, Vitek dovrà firmare un assegno da 67 milioni di euro e poggiarlo sulla scrivania dei magistrati civili dell’Urbe. In caso contrario il fallimento sarà pressoché inevitabile e l’addio allo stadio giallorosso una conseguenza ineluttabile.
IL PASSO INDIETRO DI VITEK
Vitek sarebbe invece sul punto di fare un passo indietro e di ritirarsi dall’intera compravendita, come rivelato in esclusiva da il Caffè di Roma il 13 febbraio scorso. I ripensamenti dell’imprenditore ceco sarebbero determinati in particolare dai problemi tecnici che stanno ostacolando l’avvio di Maximo, il nuovo grande centro commerciale situato nel quartiere Laurentino di proprietà sempre del Gruppo Parnasi. L’immobile è ultimato da mesi, ma ancora mai collaudato né avviato. La estesa struttura immobiliare vale da sola oltre 300milioni di euro, somma a cui si aggiunge il valore economico indiretto ad esso collegato pari a circa 100 milioni di euro l’anno, e costituisce – insieme allo stadio ed ai terreni di Tor di Valle – uno degli immobili principali su cui si fonda l’intera compravendita tra i due Gruppi imprenditoriali. Il problema è presto detto: sul Gruppo Parnasi spetta l’obbligo di realizzare una piazza pubblica ampia 1,5 ettari, ossia 15mila metri quadrati, situata proprio davanti l’ingresso del centro commerciale, e due piani di parcheggi interrati sotto di essa, prima di poter avviare ed utilizzare la struttura, come previsto nella Convenzione urbanistica dal valore prescrittivo, ossia obbligatorio, rilasciata da Regione Lazio e Comune di Roma.
GIUNTA RAGGI SOTTO I RIFLETTORI
La realizzazione della piazza e dei due piani interrati di parcheggi è bloccata da un contenzioso che appare di difficile soluzione e che contrappone il Gruppo Parnasi a quello riconducibile ad Armellini, altro potente costruttore romano. Prima di avviare Maximo, Parnasi dovrà realizzare anche una nuova sede per gli uffici tecnici del IX Municipio dal costo di circa 9 milioni di €, cosa che non è ancora avvenuta. Solo un aiutino extra della Giunta Raggi, e in particolare dell’assessore all’Urbanistica Luca Montuori, potrebbe sbloccare la situazione. Montuori potrebbe difatti nominare una apposita Commissione di Vigilanza a cui spetterebbe l’ingrato compito di autorizzare l’avvio di Maximo in violazione delle prescrizioni contenute nella Convenzione Urbanistica, ossia senza che tutte le opere pubbliche connesse al centro commerciale – pubblica piazza, due piani interrati di parcheggi e nuova sede per il IX Municipio – siano state realizzate, collaudate e in funzione. È una ipotesi politicamente e giuridicamente poco praticabile per la Giunta capitolina, a maggior ragione visto e considerato che il 5 marzo inizierà il processo penale sull’affaire stadio, che è ha coinvolto Marcello De Vito, il presidente del consiglio, ed altre 15 personalità tra tecnici e politici. Ma è un’ipotesi almeno tecnicamente ancora possibile.
LA GRANA DEL PIGNORAMENTO
Ma non è tutto. Sul gruppo immobiliare di Luca Parnasi si è abbattuta anche un’altra grana giudiziaria. Il curatore fallimentare della società Sais, riconducibile alla famiglia Papalia, ex proprietaria dei terreni di Tor di Valle, ha chiesto il pignoramento dell’area su cui dovrebbe sorgere il nuovo stadio, visto che il Gruppo Parnasi non ha ancora pagato circa la metà del prezzo pattuito per la loro cessione, ossia 21 milioni di euro, nonostante la compravendita risalga ormai a 7 anni fa, per la precisione al 2013. Papalia ha chiesto al Registro pubblico immobiliare anche la ‘trascrizione pregiudizievole’ sui terreni, una specie di ‘vincolo’ che serve ad indicare ad ogni potenziale e futuro acquirente di quei terreni che su di essi pende un problema economico irrisolto. Tale richiesta, secondo alcuni esperti del settore, sarebbe pretestuosa visto che la Sais è fallita e gli eventuali introiti andrebbero dritti-dritti nelle casse del curatore fallimentare e non di Papalia. Ma, certo, la richiesta di pignoramento e la trascrizione pregiudizievole rappresenta l’ennesimo bastone tra le ruote dell’eventuale acquirente, nel caso di Tor Di Valle del magnate ceco Vitek, perché nessuno comprerebbe mai un immobile su cui pende una iscrizione del genere. Nel silenzio generale di politica e media, è partito il conto alla rovesciache ci porterà a breve a conoscere come andrà a finire la ‘storia infinita’ del nuovo stadio della Roma. Ormai c’è da attendere davvero poco.