Presidente Tagliavanti, la crisi è finita? Che anno è stato?
“Possiamo dire che questo 2019 è stato condizionato dalla caduta del commercio internazionale. Rispetto al 2007, siamo ancora molto lontani dalla ripresa, se pensiamo che il Pil dell’Italia è del 4,3 % in meno. Meglio il dato regionale (-3,6%) e ancor meglio quello romano (-2%). Però stiamo parlando sempre di valori negativi; c’è tenue ottimismo, ma la crisi non è stata ancora riassorbita”.
Che anno ci aspetta e quale può essere il ruolo della Capitale per il 2020?
“Roma e Milano rappresentano di fatto il fulcro produttivo e occupazionale d’Italia. Due dati ci fanno per capire cosa è successo nella capitale, al di là delle narrazioni che spesso apprendiamo dai media: nel 2008 Milano segnava 1,7 milioni di occupati e Roma 1,6 milioni circa. Oggi Milano ne ha poco meno di 1,5 milioni mentre Roma registra più di 1,8 milioni di occupati. Possiamo dire che la risposta dei romani alla crisi è stata quella di fare impresa, nonostante tutto. Solo nel 2018 il tasso di crescita delle imprese nella nostra città e nella provincia è stato del + 1,81% e possiamo dire, con un dato aggiornato a giugno di quest’anno, che a Roma ci sono 501mila imprese, l’8% del totale del Paese: il numero più alto in Italia”.
Chi sono questi nuovi imprenditori che hanno avuto il coraggio di iniziare in piena crisi?
“È un dato che fa riflettere, ma le categorie più vitali sono quelle più deboli: 40 mila imprese messe in piedi dai giovani, più del doppio, 103mila, dalle donne e ben 69 mila imprese portate avanti da stranieri che da sole contribuiscono al 9,5% della ricchezza della città”.
Quindi la ricchezza di Roma non viene solo da Palazzi e Ministeri…
“Assolutamente no. Il tessuto imprenditoriale cittadino è vivo, in continua evoluzione e in grado di creare lavoro. Mi piace sottolineare come arrivino finalmente anche tante start-up, ce ne sono mille (il 10% del totale italiano), di cui 400 nella periferia. E poi Roma è anche la città dell’istruzione e della ricerca: ci sono 240mila studenti iscritti nelle 40 università cittadine, praticamente più degli abitanti del Molise, con tanti centri specializzati come il CNR e l’ENEA. La spesa in ricerca e sviluppo nella Regione Lazio supera i 3 miliardi ed è pari al 15% dell’intera nazione”.
Da questi dati Presidente sembrerebbe che la crisi, almeno per quanto riguarda la capitale, sia acqua passata.
“Purtroppo non è così. Prima di tutto perché ancora si fa fatica a trasferire questa tecnologia e manca una spinta che acceleri i processi di contaminazione tra imprese, università e centri di ricerca. La crisi a Roma, al contrario di Milano, non è superata, ed è paradossale, perché oltre alla crescita delle imprese e dell’occupazione, la capitale ha visto crescere anche l’export in questo decennio, ma senza che tutto questo abbia coinciso con un aumento di ricchezza. Possiamo dire con certezza che c’è stata la creazione di un basso valore aggiunto con una polarizzazione del lavoro: da una parte i lavoretti e dall’altra gli impieghi ad alta specializzazione”.
Qual è la ricetta per lasciarsi la crisi alle spalle?
“Serve un salto di qualità per superare questa forbice, che significa qualità del lavoro, qualità della formazione e qualità dello stesso tessuto urbano. E poi c’è necessità di fare ancora più rete tra il mondo delle piccole e medie imprese (che sono la maggioranza), per ottenere economie di scala e generare risorse finanziarie per fare investimenti in innovazione e poi per fare massa critica e affrontare con successo i mercati globali. Il Lazio, insieme al Friuli Venezia Giulia, è l’area geografica con la maggiore propensione a fare rete rispetto alla densità imprenditoriale del territorio, dobbiamo mantenere e accrescere questo trend per avere più innovazione e più internazionalizzazione: piccolo è bello se non si è da soli”.
A proposito di internazionalizzazione e innovazione, l’e-commerce sta sbaragliando la concorrenza.
“Partiamo dal fatto che il commercio è stato uno dei tre pilastri, insieme al settore edile e alla spesa pubblica, della ricchezza di Roma nello scorso decennio. Oggi è chiaro che ci troviamo di fronte ad enormi cambiamenti: da un lato il fiorire di centri commerciali e dall’altro il cambio di abitudini di spesa dei consumatori che sempre più si rivolgono all’online. Secondo gli ultimi dati del Politecnico di Milano, il giro d’affari del commercio online è di quasi 32 miliardi (+15% sul 2018, quando già si era registrato un aumento del 16%) e il 65% dei nuovi consumi passa per il canale online a discapito della distribuzione tradizionale. Le nostre imprese sono fortemente penalizzate anche perché hanno un basso livello di digitalizzazione: secondo l’Istat solo il 20% delle imprese italiani può dirsi digitalizzata, il 14% vende online. Nel commercio il dato è ancora più preoccupante, visto che solo il 21,5% fa vendite sul web. Roma rispetta il quadro nazionale e si è dimostrata totalmente impreparata alla rivoluzione digitale che ha causato la concentrazione del valore creato da tutta la filiera del commercio in pochi player. Vedere tanti negozi, anche storici, della capitale è davvero triste, perché oltre ad impoverirsi il tessuto produttivo si perde anche un presidio sul territorio”.
Come si resiste ai colossi del web?
“Il digitale deve diventare una grandissima opportunità per le imprese italiane, però bisogna avere la capacità e il coraggio di superare i limiti dimensionali e di trasformarsi in aziende globali, pur mantenendo un carattere tradizionale. Non è un’opzione purtroppo ma una scelta obbligata: solo se l’impresa è innovativa, sopravvive. È chiaro che accanto all’iniziativa privata c’è anche la necessità però di accompagnare le piccole imprese nel loro percorso di trasformazione digitale con strumenti adeguati”.
È fondamentale, perché ciò avvenga, la collaborazione con le istituzioni.
“Noi chiediamo alle imprese di fare rete ma le istituzioni, per prime, devono farlo. La leale collaborazione tra gli enti pubblici è un imperativo per massimizzare le potenzialità di un territorio oltre che un obbligo sancito dalla Costituzione. La Camera di Commercio di Roma non si è tirata indietro, cito solo due degli ultimi accordi siglati. Il primo del settembre 2018 stipulato con la Regione Lazio è un quadro comune di interventi per lo sviluppo economico e la competitività del sistema produttivo della Regione che punta su facilitazioni per l’accesso al credito, innovazione tecnologica e semplificazione, percorsi di formazione, promozione dell’attrattività del territorio, internazionalizzazione e programmazione europea. Il secondo protocollo è stato firmato nel mese di maggio con la sindaca Virginia Raggi e punta su ambiti di intervento cruciali per lo sviluppo del sistema imprenditoriale: attrazione di investimenti e marketing territoriale, semplificazione amministrativa, cultura, turismo e grandi eventi; scuola-lavoro. La collaborazione con il comune ha già solide fondamenta nella gestione congiunta di importanti società e infrastrutture e poi nella presenza della CCIAA nelle più importanti fondazioni culturali della capitale”.
Luca Rossi