CARO VITA DEI FUORISEDE: LE PROTESTE
Il caro vita continua ad essere un problema per gli studenti italiani che scelgono di frequentare l’università in una regione diversa da quella di appartenenza. Nelle ultime settimane non sono mancate proteste di varia natura nelle principali città del Paese, per portare sotto agli occhi di tutti – delle istituzioni in primis – una situazione ormai divenuta insostenibile. Tuttavia, alla luce delle ultime mobilitazioni non sembrerebbero esserci stati riscontri positivi.
“Il Governo continua a destinare l’80% dei fondi del Pnrr al privato – spiega, a Il Caffè di Roma, Camilla Piredda, Coordinatrice Nazionale dell’Unione degli Universitari (UDU) – il che significa andare a sottofinanziare ulteriormente il pubblico”. Stando alla Gazzetta Ufficiale, la parte di fondi del Pnrr che dovrebbe essere utilizzata per creare nuovi alloggi universitari, non verrebbe infatti investita per riqualificare le aree pubbliche dimenticate, ma per offrire un contributo ai privati che ospiteranno gli studenti a pagamento. “Oggi abbiamo solo 40.000 posti nelle residenze pubbliche – continua Piredda in proposito – a fronte di 140.000 studenti e studentesse fuorisede in Italia”.
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UNIVERSITÀ ITALIANA TRA LE PIÙ CARE IN EUROPA: SERVE UN REDDITO
Il problema alla base del caro vita dei fuorisede sarebbe da ricercarsi in un sistema universitario – quello italiano – tra i più cari d’Europa. “Siamo costretti a vivere un sistema universitario con la tassazione media più alta a livello europeo – chiosa ancora la Coordinatrice Nazionale UDU – studiare fuori sede oggi costa fino a 10.000 euro all’anno”.
Si stanno facendo largo diverse ipotesi per garantire agli studenti un adeguato sostegno economico. Il reddito universale rientra tra le misure che potrebbero alleviare il problema del caro vita dei fuorisede. “Quando parliamo di reddito universale stiamo parlando di una misura che potenzialmente potrebbe aiutare anche la nostra fascia di popolazione”, sottolinea Piredda. “Non credo disincentiverebbe al lavoro – spiega – forse potrebbe piuttosto incentivare a rifiutare quei posti di lavoro che non hanno delle tutele consone, non hanno delle retribuzioni consone, non hanno delle condizioni lavorative consone, e che spesso molte e molti di noi sono costrette ad accettare perché non esistono alternative”.
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LA RIFORMA DEL SISTEMA UNIVERSITARIO
Ma il problema del caro vita dei fuorisede trae la sua origine in qualcosa di più profondo e radicato. “La battaglia del reddito l’abbiamo appoggiata – continua Piredda – ma non l’abbiamo creata noi, per quanto riguarda la componente studentesca in senso stretto noi crediamo che oggi in Italia debba essere riformato il sistema di diritto allo studio” .
Gli studenti universitari italiani insieme all’UDU chiedono una riforma strutturale del sistema di tassazione. “Una riforma che si muova verso la gratuità – chiosa Piredda in proposito – eliminare la figura degli idonei non beneficiari (coloro che sono idonei alla borsa di studio ma che non la percepiscono perché non ci sono abbastanza fondi), serve creare un sistema di canoni calmierati e di residenzialità pubblica in grado di ospitare una quantità immane di studenti fuorisede, che fuori sede lo sono spesso perché non hanno altra scelta”.
PROSEGUONO LE MOBILITAZIONI
Le battaglie dell’UDU e degli studenti sul caro vita dei fuorisede non si arrestano. “Stiamo preparando la fase autunnale – conclude Camilla Piredda – a brevissimo lanceremo un questionario sulla questione abitativa per capire quali sono effettivamente i costi reali oggi in Italia e quali sono le condizioni abitative delle studentesse e degli studenti fuorisede. Abbiamo lanciato un report in conferenza stampa qualche giorno fa rispetto alla condizione abitativa da analizzare con i dati presenti fino ad ora. Tra un paio di settimane presenteremo un altro report sulla tassazione universitaria, e in autunno porteremo in piazza delle rivendicazioni che che vogliono decostruire in maniera più ampia il sistema universitario e far capire che oggi studiare all’università in Italia è un privilegio e non è un diritto, ed evidentemente bisognerebbe riformare il sistema in toto se vogliamo effettivamente garantire questo diritto a tutti”.