La guerra entra con il suo orrore nelle case attraverso immagini a volte troppo crude, e il senso di impotenza davanti a dei video o delle foto che scorrono su uno smartphone può essere vinto solo se ci sentiamo chiamati in prima persona a dare un aiuto concreto. Tra le mete che hanno accolto il numero maggiore dei circa 83mila profughi ucraini giunti in Italia (dati del Viminale al 5 aprile) c’è naturalmente Roma. Nel quartiere Aurelio, in via Balduina, si trova la Chiesa di Santa Sofia attorno a cui si raccoglie, dagli anni ’70, la comunità cristiana ucraina della Capitale. Abbiamo parlato con il rettore, Don Marco Jaroslav Semehen, che è qui dal 2014 e che dai primi giorni del conflitto ha messo in piedi un vero e proprio hub sia per accogliere i rifugiati che per inviare aiuti a chi si trova tra i bombardamenti.
Don Marco siete diventati un punto di riferimento per chi vuole aiutare concretamente il popolo ucraino, come avete iniziato?
“Devo dire che c’è stato un primo momento di titubanza, io stesso non credevo che Putin potesse invadere l’Ucraina e per qualche giorno ho fatto fatica, poi è arrivata davvero la guerra, con la crisi umanitaria, con i feriti, i morti e allora siamo partiti con un semplice appello che abbiamo fatto girare sui social e che si è piano piano ingrandito”.
Qual è stata la risposta della città?
“Davvero eccezionale, si sono mossi cittadini semplici, volontari, tante associazioni ad esempio quella dei coltivatori, degli stoccatori, c’è stata una grandissima generosità che ci ha fatto raccogliere cibo a lunga scadenza, indumenti, beni di prima necessità, materiale sanitario”.
Cosa siete riusciti a spedire in Ucraina?
“Finora abbiamo inviato 52 tir di 20 tonnellate ciascuno con cibo, materiali igienici di prima necessità, materiale ospedaliero, coperte, sacchi a pelo, pile, torce, accendini, batterie e tutto quello che serve alle persone che si nascondono nei bunker. Il cibo è stato mandato in due modi, con scatolame e poi nei centri di prima accoglienza dove ci sono delle mense sociali che gestiscono associazioni come la Caritas. Mentre i medicinali e il materiale medico lo abbiamo inviato agli ospedali e per fortuna abbiamo già avuto la prova che è arrivato tutto a destinazione”.
Oggi l’aiuto che si può dare è anche quello a chi fugge dalla guerra per venire a Roma, quanti sono gli ucraini nella Capitale?
“I dati prima del conflitto parlavano di 12.000 ucraini presenti, oggi sono sicuramente di più se pensiamo che gli sfollati dalla mia terra sono circa 6 milioni. Chi arriva qui nella maggior parte dei casi si presenta solo con una piccola valigia, ha bisogno di tutto. Noi abbiamo aiutato già 1500 persone, che poi alloggiano allo Sheraton, l’Holiday Inn di Fiumicino, a Sacrofano, a cui abbiamo fornito una prima accoglienza per spiegare come devono muoversi e ringrazio i tanti volontari che hanno dato il loro tempo per assistere queste persone. E poi diamo un kit con beni igienico sanitari, ma in genere gli serve tutto, dal tubetto di dentifricio ad un paio di scarpe. Ci sono anche tante mamme con bimbi piccoli o mamme in attesa a cui diamo carrozzine e beni per neonati. Poi, in collaborazione con la ASL, stiamo fornendo le tessere sanitarie provvisorie affinché i profughi possano accedere al Servizio Sanitario Nazionale. Nello stesso tempo abbiamo attivato un servizio completamente gratuito, insieme al Fatebenefratelli e all’Ospedale San Pietro sulla Cassia, per effettuare delle visite mediche complete, anche pediatriche. È importante anche la seconda accoglienza, per questo abbiamo attivato un corso di italiano che sta per partire e a cui si sono iscritte già 50 persone”.
Cosa vi serve ancora Don Marco e che appello vuole lanciare?
“Abbiamo ancora bisogno di tante cose, oggi è importante fare anche una piccola donazione perché ci serve per pagare i costi della benzina e del trasporto e poi ci serve il cibo ma più di ogni altra cosa dobbiamo pregare affinché finiscano tutti i conflitti, non solo la guerra in Ucraina, e gli uomini ritrovino la via della pace”.