Il fondo del Caffè
di Stefano Carugno (direttore responsabile)
Senza una stampa libera una democrazia non funziona, perché il popolo non è informato sulla verità dei fatti. Questa distorsione nella percezione delle notizie influenza il giudizio dei cittadini sull’operato dei propri rappresentanti nelle istituzioni e condiziona fortemente le scelte dell’elettore.
In Italia, allo stato attuale delle norme, il potere politico controlla l’informazione attraverso la gestione diretta o indiretta dei flussi finanziari verso gli editori e facendo sopravvivere leggi anacronistiche su diffamazione e querele temerarie: per questo, tra i paesi occidentali, l’Italia è agli ultimi posti nella classifica sulla libertà di stampa di Reporters sans Frontieres, e dietro anche a nazioni come Namibia, Suriname, Burkina Faso e Botswana.
Una legge che riconosca l’importanza dell’operato dei giornalisti attiverebbe un vero effetto domino virtuoso: i cittadini sarebbero più informati, i politici mascalzoni smascherati, diminuirebbero truffe e vessazioni, ne godrebbero i benèfici effetti tutti i processi economici, sociali, di sicurezza e di giustizia. Basterebbe una sola legge per completare la nostra democrazia e renderla più giusta.
L’ONU PUNTA IL DITO CONTRO GLI STATI CHE NON DIFENDONO LA STAMPA LIBERA (ITALIA COMPRESA)
Il 2 novembre l’ONU ha voluto celebrare la Giornata mondiale per porre fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti. 1200 giornalisti uccisi negli ultimi 15 anni nel mondo e circa il 90% di questi omicidi sono rimasti impuniti.
Attenzione, la giornata celebrativa non vuole sottolineare solo lo sdegno verso questi crimini, ma anche e soprattutto l’impunità che ne consegue.
Quando parliamo di queste violenze e ingiustizie ci immaginiamo paesi sottosviluppati in cui regna il caos o paesi guidati da tiranni che soffocano le libertà democratiche, ma in realtà non dobbiamo andare così lontano per scandalizzarci, basta guardare bene in casa nostra: queste cose avvengono anche in Italia.
Sebbene le uccisioni siano la forma più estrema di censura dei media, i giornalisti sono soggetti a innumerevoli altri tipi di minacce. Tutte hanno lo scopo di ridurre al silenzio il giornalista, per nascondere verità scomode.
LE QUERELE AI GIORNALISTI? LE FANNO SOLO I DELINQUENTI
È vero, gli omicidi di giornalisti sono rarissimi da noi, ma questo solo perché in Italia si può facilmente ricorrere ad altri mezzi meno ‘eclatanti’ per zittire chi vuole diffondere notizie vere ma non gradite. In Italia basta ricorrere alla querela: denunciare un giornalista non costa nulla e al querelante (delinquente) è garantita l’impunità. Il giornalista ingiustamente accusato, invece, viene messo in una difficile condizione: deve difendersi da accuse infamanti, deve pagare un avvocato, deve perdere ore e giornate intere tra caserme di forze dell’ordine, procure e tribunali, deve sopportare lo stress delle denunce (che non è poco)… tutto questo per anni. Alla fine il giornalista sarà comunque assolto (nella stragrandissima maggioranza dei casi la querela è pretestuosa e non porta alla condanna), intanto però ne sarà uscito a pezzi e avrà dovuto smettere di scrivere le verità su quel delinquente che l’ha querelato.
Tutto questo comporta un danno enorme per l’Italia e per la democrazia: giudici, procuratori e forze dell’ordine devono sprecare il loro tempo dietro a innumerevoli querele infondate, allo Stato tutto questo costa tanti soldi (pubblici), inoltre la verità scompare dai giornali e i delinquenti che vogliono nascondere le proprie malefatte raggiungono così lo scopo. Li chiamo “delinquenti” perché le persone oneste che pensano di aver subito un torto da un articolo di giornale chiedono la rettifica, proprio perché vogliono che sia ristabilita la verità. I delinquenti, invece, ricorrono alla querela, perché vogliono che la verità sia occultata. Questa è la realtà che vivono oggi i giornalisti italiani.
PERCHE’ MAGISTRATURA E PARLAMENTO DIFENDONO I DELINQUENTI?
In realtà il codice penale prevede il reato di “querela temeraria” (art. 427 del Cpp), cioè la condanna di chi presenta una querela senza che ce ne siano i presupposti, ma nella realtà né le procure né i tribunali applicano mai questa norma (perché???).
La legge fa invece tutto il suo dovere nel caso del reato di diffamazione, che è considerato dal nostro codice penale un reato doloso. Ciò vuol dire che un giornalista non può mai nemmeno sbagliare, perché qualsiasi sbaglio viene visto come una precisa volontà di infangare qualcuno, e viene duramente punito. Poichè quindi lo sbaglio non è contemplato, il giornalista è l’unico professionista iscritto ad un albo che non può nemmeno sottoscrivere una assicurazione sul proprio operato.
Nelle cause civili, inoltre, quelle dove è il delinquente a chiedere decine di migliaia di euro di risarcimento a chi ha scritto solo verità, al giornalista a cui il giudice dà ragione non viene però riconosciuto il rimborso delle pesanti spese legali che ha sostenuto: quindi (assurda realtà) il giornalista che scrive la verità è quello che perde sempre e comunque.
Queste leggi sono state più volte oggetto di critiche della Comunità Europea verso l’Italia, che è stata invitata e anche ammonita a cambiarle. Da decine di anni si susseguono legislature che partoriscono proposte su proposte di leggi sulla tutela del lavoro del giornalista, che porterebbero finalmente l’Italia tra i paesi ‘civili’, ma queste proposte non arrivano mai ad essere votate in parlamento.
Sembra esserci una precisa volontà, studiata a tavolino, che ha lo scopo di non permettere ai giornalisti di svolgere il ruolo di “cane da guardia” della democrazia, ruolo universalmente riconosciuto come fondamentale per la sopravvivenza di una democrazia.