Dopo tre settimane di serrato dibattito in aula e nelle commissioni consiliari, dedicate al salvataggio di Ama, con tanto di Giunta Raggi sull’orlo della crisi, è arrivato sul filo di lana l’ok da parte dell’assemblea capitolina. Anche se con dei numeri, quelli della maggioranza targata M5s in consiglio comunale, sempre più risicati. Via libera, dunque, ai bilanci del triennio 2017-2019, finora mai approvati, ma soprattuto al piano industriale 2020-2024 e al piano di risanamento dell’azienda del Campidoglio. Virginia Raggi e i suoi provano a correre ai ripari per evitare la privatizzazione del servizio ed a risanare la società pubblica capitolina di igiene urbana, il cui destino è legato a doppio filo alla partita sul ciclo dei rifiuti del Lazio, nel frattempo piombato di nuovo nella solita emergenza. Non solo un pesante rosso di bilancio: tra le spine sui conti di Ama c’è anche un margine di profitto troppo basso. Il motivo? Una carenza di impianti di proprietà per trattare circa 1,6 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti dalla capitale. Gap che fa lievitare i costi, soprattutto per il conferimento dell’indifferenziato.
VORAGINE DA MEZZO MILIARDO
È questo, infatti, il nervo scoperto di Ama, che intanto, per sopravvivere, deve essere ricapitalizzata. Dai bilanci 2017-201 sono infatti emerse perdite d’esercizio per 240 milioni di euro. A tappare il buco milionario ci penserà il Comune, socio unico e titolare del 100% delle quote societarie. E con risorse proprie, quindi con i soldi dei romani. Prevista un’iniezione di liquidità da 256 milioni: un aumento di capitale di 100 milioni, più altri 50 da versare in cassa, in abbinamento a 106 milioni di crediti che il Comune rinuncia a riscuotete dalla propria controllata. Ma non è finita: in ballo, hanno ricordato i revisori dei conti dell’ente, ci sono ulteriori 200 milioni di euro che spuntano da una mancata riconciliazione debiti-crediti tra Comune e società. Così, nei prossimi anni, Roma Capitale potrebbe dover coprire una voragine da quasi 460 milioni.
«MANCANO GLI IMPIANTI»
Gli investimenti messi in agenda per il quinquennio 2020-2024 ammontano a 340 milioni di euro: quasi quattro volte l’importo stanziato nel periodo 2015-2019. L’obiettivo è alzare l’asticella della raccolta differenziata dall’attuale 45 al 61% entro il 2024. Prospettive nettamente ridimensionate: basti pensare che, stando al piano varato quattro anni fa dei 5stelle, si parlava del raggiungimento di quota 70% nel 2021. Numeri rimasti su carta. Il nodo della questione, dunque, sarebbe in realtà un altro: «Ama, ad oggi, riesce a trattare nei propri impianti solo il 15% dei rifiuti urbani raccolti». Percentuale, secondo i dati preliminari 2020, ottenuta dal trattamento del 25% dell’indifferenziato, del 7% dell’organico e del 10% del multimateriale. In totale circa 250mila tonnellate l’anno (su 1,6 milioni). La restante parte, quasi 1,4milioni di tonnellate di immondizia romana, prende così la strada di siti privati. Con ripercussioni soprattuto sulla spesa per l’indifferenziato: rispetto al 2015 è aumentato del 50% il costo medio unitario sostenuto dalla municipalizzata per trattarlo (tramite appunto trattamento meccanico-biologico, Tmb), avviarlo a recupero e infine smaltirne gli scarti in discarica: 180 euro a tonnellata contro i 120 di cinque anni fa.
ARRIVA IL MEGA-TMB DA 540MILA TONNELLATE L’ANNO
Effetto domino innescato dalla chiusura, datata 2018, del Tmb Ama del Salario. Senza contare che quello di Rocca Cencia da 230mila tonnellate annue, già a mezzo servizio, potrebbe concretamente chiudere tra pochi mesi. La parola d’ordine è «autosufficienza». Ecco dunque spuntare sei nuovi impianti, inseriti nel piano industriale, per tentare un balzo in alto sui ricavi. Due impianto biogas, già autorizzati dalla Regione e da realizzare entro il 2022, due centri di raccolta carta e multimateriale e uno per il recupero pannolini. Ma soprattutto un mega Tmb da 540 mila tonnellate da mettere in esercizio non oltre il 2024, per cui bisognerà però trovare un’area idonea. In totale, 880mila tonnellate l’anno in più sul fronte della capacità impiantistica.