Il processo al clan Fragalà trasloca a Velletri. Dopo gli arresti compiuti a maggio dell’anno scorso dai carabinieri del Ros, l’Antimafia di Roma ha chiesto e ottenuto dal gip Corrado Cappiello un processo con rito immediato per 28 imputati, accusati di aver seminato il terrore sul litorale, tra Roma, Ardea e Pomezia, mettendo in piedi un’associazione per delinquere di stampo mafioso, gestendo il narcotraffico e le estorsioni ai danni di commercianti e imprenditori. Un gruppo che avrebbe cercato anche di piegare ai propri interessi l’amministrazione comunale pometina, che avrebbe messo a punto persino un rituale di affiliazione basato sul giuramento con il sangue, un fazzoletto di seta annodato e l’immagine di San Michele Arcangelo, e che avrebbe mantenuto stretti rapporti con la camorra casalese, la mafia siciliana dei catanesi Santapaola e Capello, e i Fasciani di Ostia. Tutto gestito da un triumvirato composto dal 61enne Alessandro Fragalà, il nipote 41enne Salvatore Fragalà, e Santo D’Agata, di 61 anni. Insieme a loro a giudizio sono poi finiti Ignazio, Mariangela, Astrid e Simone Fragalà, l’albanese Blerim Sulejmani, Vincenzo D’Angelo, Mariano Cervellione, Giorgio Ermini, Francesco D’Agati, Angelo Arena, Stefano Barbis, Stefano De Angelis, Francesco Loria, Daniele Sozzi, Pasquale Lombardi, Marco Del Fiume, Emiddio Coppola, Luciano Marianera, Manolo Mazzoni, Sergio Palma, Karim Pascal Reguig, Michele Chiaffarata, Renato Islami, Tito Ferranti e l’albanese Enrik Memaj. Il processo, davanti al Tribunale di Roma, si è però fermato alle eccezioni preliminari. Le difese hanno infatti sostenuto la tesi dell’incompetenza territoriale dei giudici di piazzale Clodio, essendo larga parte delle contestazioni relative a vicende consumatesi tra Ardea e Pomezia. Accolta l’eccezione il procedimento è stato quindi trasferito per competenza al Tribunale di Velletri, che dovrà ora fissare la prima udienza e gestire un processo antimafia imponente. Al momento degli arresti lo stesso gip Cappiello definì anche emblematiche le relazioni del clan con esponenti politici delle amministrazioni locali. Il gruppo criminale si sarebbe trasformato in clan mafioso nel 2009. Una convinzione maturata negli inquirenti alla luce delle indagini svolte dai carabinieri e delle rivelazioni di Sante Fragalà, un esponente dell’organizzazione, arrestato per la cosiddetta mattanza di Cecchina del 29 maggio 2011, un duplice omicidio e un duplice tentato omicidio compiuto ad Albano Laziale nell’ambito di uno scontro legato al mercato della droga, e che ha deciso di collaborare con la giustizia. Fu infatti in quella data che Alessandro Fragalà, lo zio di Sante, in quel momento detenuto, ordinò di mettere su un clan e prendere il controllo del litorale. Da allora sarebbe stato un susseguirsi di estorsioni, traffici di sostanze stupefacenti, rapine, incendi e danneggiamenti, facendo largo uso di armi ed esplosivi.
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