Giustizia ferma fino a giugno. Il piano è questo: prima due settimane di stop totale. E poi la possibilità di rinviare le udienze, almeno quello differibili, direttamente a dopo il 31 maggio. Salvo, per questo periodo, diversa decisione dei vertici dei vari tribunali. Il blocco della macchina giudiziaria è stato servito così per altri due mesi, a cavallo tra aprile e maggio. L’emergenza coronavirus non ha permesso altre soluzioni. Piazzale Clodio, cuore della giustizia penale, resterà spettrale ancora per un po’. Solo processi per direttissima. Stesso scenario per il civile. Tribunale attivo solo per le emergenze indifferibili.
IL DECRETO ‘BONAFEDE’
Il decreto legge, approvato dal Consiglio dei ministri venerdì 7 aprile, oltre che contenere misure sul potenziamento del Servizio sanitario nazionale, per quanto riguarda il capitolo delle materie sulle giustizia, consentirà il rinvio delle udienze. Lo ha spiegato a Palazzo Chigi, al termine del Consiglio dei ministri, il guardasigilli Alfonso Bonafede. ”Da oggi e per due settimane ci sarà la sospensione feriale degli uffici giudiziari”, ha detto il ministro, ”Poi sarà possibile per i vertici degli uffici giudiziari rinviare le udienze non urgenti. Possibili anche le videoconferenze per le udienze. E la spedizione di atti urgenti per via telematica”. Il Guardasigilli ha poi sottolineato che le misure valgono fino al 31 maggio ma se ci sarà un calo dei contagi si tornerà lentamente alla normalità.
Il decreto ha stabilito, infatti, “la previsione del rinvio delle udienze a data successiva al 31 maggio 2020 nei procedimenti civili e penali”, con una serie di eccezioni specificate. Saranno inoltre ridotti gli orari di apertura al pubblico degli uffici giudiziari, fino a prevedere la sospensione dell’attività di apertura. Il decreto prevede “la limitazione dell’accesso agli uffici giudiziari ai soli soggetti che debbono svolgervi attività urgenti”.
LA PAROLA PASSA AL DOTTOR MONASTERO
Gli “uffici giudiziari in aree con contagi inferiori potranno organizzarsi in maniera diversa” ha spiegato il Guardasigilli, ”a seconda delle esigenze si organizzeranno per tutelare la salute pubblica”. Intanto un ponte di 15 giorni per permettere agli uffici di organizzarsi. L’ultima parola, almeno sulla carta, per il tribunale penale di Roma, dopo i 15 giorni feriali imposti, quindi spetterà al presidente Francesco Monastero. Che assai probabilmente, come da indicazioni, non darà il via all’apertura dei battenti prima di fine maggio, o meglio del primo giugno. La giustizia, insomma, resterà a lungo ancora ferma. E continuerà a bloccare con essa il lavoro dei giudici, degli avvocati, dei cancellieri e delle forze dell’ordine. Nel frattempo il presidente Monastero sta studiando un piano per riavviare tutto. Perché anche quando ci sarà l’ok per la riapertura occorrerà un rodaggio. Per i primi quindici giorni verrà lievemente aumentato il personale amministrativo, cancellieri e segretarie, considerato che fino ai primi giorni di marzo degli 800 dipendenti, in sede ne lavoravano 250. Ma anche la calendarizzazione delle udienze sarà importante. Poche e possibilmente in aule spaziose.
TRIBUNALI A REGIME A SETTEMBRE?
Insomma si può dare per scontato che i tribunali rischiano di tornare a regime non prima di settembre. O almeno si spera. Ferme anche le retate. Si evitano le misure caulterari per scongiurare, tranne in casi eccezionali nuovi ingressi, e quindi il rischio di contaminazioni, in carcere. Resta alta intanto la preoccupazione sul fronte carceri. L’unico sollievo per i detenuti che lamentano i rischi sanitari del sovraffollamento è la possibilità di videochiamare parenti e difensori. Cesare Placanica, presidente della Camera penale di Roma, è preoccupato per i detenuti. ”Le tensioni sono alte, anche se la possibilità delle lunghe videochiamate ha risollevato un pochino gli animi”. In carcere infatti il distanziamento è quasi impossibile da applicare e i reclusi restano molto agitati. Regina Coeli ospita 1000 detenuti, ma la sua capienza dovrebbe essere al massimo di 600 unità. Condizione perfino peggiore per Rebibbia nuovo complesso, qui non si dovrebbero superare le 1000 unità, e oggi sono stipati in 1600. In pratica, se dovesse diffondersi il coronavirus nei penitenziari della Capitale, bisognerebbe mettere un detenuto per cella per poter fare la quarantena. ”Visti i numeri né a Regina Coeli né a Rebibbia questo sarebbe possibile”, ha denunciato il garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia. E allora uno dei modi per ridurre la pressione sarebbe quello di spedire ai domiciliari i detenuti che sono a fine pena. Un meccanismo inceppato. ”Se proponi” attacca Placanica ”una riforma secondo la quale sotto una certa pena il detenuto va ai domiciliari col braccialetto elettronico, e tutti sanno che non c’è disponibilità di braccialetti elettronici, allora già sai che si tratta di una proposta ipocrita”.