Presidente, com’è andato l’anno appena passato per il vostro settore?
“Il 2019 è stata un’annata molto impegnativa, soprattutto a causa di eventi meteo straordinari a cui ormai, temo, dovremmo farci l’abitudine. Possiamo dire che nonostante tutto abbiamo retto”.
Siamo abituati a parlare di Roma come città del turismo e dei servizi e invece…
“Invece Roma ha una grande particolarità: è il primo mercato agroalimentare d’Italia. Nella Capitale si intermediano circa 6 miliardi di euro l’anno in questo comparto. Se guardiamo solo all’agricolo possiamo dire che le vendite vanno molto bene e, nonostante una concorrenza spietata da parte di alcuni paesi esteri, ci stiamo difendendo, anche perché le persone cominciano a capire cosa significa e quale è il valore di un prodotto a chilometro zero, oppure che valore ha comprare sempre frutta di stagione, insomma la qualità alla fine paga”.
Cosa vuol dire concorrenza spietata di alcuni paesi esteri?
“ll tema delle esportazioni è centrale per noi, e in questa fase storica sulla produzione agricola stiamo subendo la competizioni di paesi come Spagna e Tunisia. Anche qui è la cultura del consumatore che deve cambiare. Da un punto di vista sanitario, infatti, molto spesso arrivano prodotti che in Italia sono improponibili da venti anni e questa è una prima sostanziale differenza che però va spiegata bene a chi vuole un prodotto diverso, perché davvero i nostri standard sanitari sono rigidi ma garantiscono una qualità molto elevata. Il secondo problema riguarda il gap di infrastrutture perché, inutile negarlo, purtroppo è più facile portare un prodotto da Barcellona a Milano piuttosto che da Roma a Trento”.
Vi aspettate conseguenze importanti dal coronavirus?
“Del Coronavirus non abbiamo ancora computato gli effetti, ma certo quando forse non vedremo più il triplo concentrato cinese (cioè la passata di pomodoro che viene spacciata come italiana) ci accorgeremo che qualche effetto questo embargo forzato l’avrà avuto”.
Che vuol dire creare cultura nel consumatore?
“Siamo grandi produttori di ortofrutta e anche grandissimi consumatori. Purtroppo sempre più spesso facciamo i conti con prodotti sostitutivi della frutta come le barrette. Nella zona di Roma e anche nel Lazio ci sono delle eccellenze assolute come le puntarelle romane, il carciofo o il kiwi di Latina che continuano ad andare benissimo e che andrebbero fatti conoscere ancora di più per le loro qualità, ma anche per la loro peculiarità legata ad un determinato territorio”.
Come si difende il made in Italy e il made in Roma?
“Noi crediamo che il vero Made in Italy e anche il Made in Rome si possano tutelare solo con il rispetto delle regole, con una tracciabilità completa, e poi dobbiamo costruire nel consumatore una consapevolezza che gli faccia capire qual è la grande differenza tra un carciofo romano e uno tunisino. Solo così anche piccole realtà possono battere la grande distribuzione: perché si fa capire al consumatore qual è il giusto costo per ogni prodotto”.
Centri commerciali, ipermercati e supermercati: durante una crisi sembra fare più gola un grosso sconto che un cibo di grande qualità…
“In tempi di crisi è molto difficile andare contro la grande distribuzione, però vorrei dire questo: il modello americano qui ha fallito. I grandi ipermercati stanno sparendo tutti in Italia e a Roma, mentre rivanno molto forte i supermercati, ma con una grossa novità: al loro interno non è raro incontrare degli spazi dedicati alla produzione locale, dunque c’è una dimensione che torna a far competere anche i piccoli produttori. È chiaro che i piccoli commercianti devono saper cogliere questo cambiamento come una grande opportunità: l’agro romano può diventare davvero identitario”.
20 anni fa vi siete inventati il mercatino contadino, ci sono ancora prospettive?
“Il mercato contadino ha un potenziale di crescita ancora altissimo: a Roma e dintorni ce ne sono moltissimi e si stanno strutturando sempre di più. Da questo punto di vista non temiamo la concorrenza dell’e-commerce, perché il mercatino non è solo un punto vendita ma è anche un luogo dove socializzare, dove scoprire le origini di un prodotto”.
Ci sono novità in arrivo?
“Cresciamo, ma molto lentamente, anche perché abbiamo delle regole rigide. Ma quello è la nostra forza, perché teniamo sempre alla qualità. Nel 2020 stiamo progettando di aprire un mercato di Campagna Amica nel quartiere della Garbatella e un altro nel quartiere Flaminio”.
Parlando di problemi concreti, i cinghiali sono arrivati fino in città.
“I cinghiali sono ormai un problema storico e insopportabile: abbiamo un socio occulto che partecipa agli utili senza partecipare agli oneri, parliamo di 6-7 milioni di euro di danno l’anno per il nostro settore ed è francamente insostenibile. In questo ultimo periodo abbiamo messo in piedi, grazie all’appoggio della Regione Lazio, un protocollo d’intesa che trasforma i cinghiali da problema a risorsa. Facciamo delle catture selettive in azienda e poi il cinghiale diventa dell’agricoltore che può decidere cosa farne, ma sicuramente alleggerisce la massa di capi all’interno delle aree verdi. Non vogliamo eradicarli, ma sono davvero troppi, bisogna farli diminuire e, allo stesso tempo, bisognerebbe reintrodurre capi autoctoni. Ci sono molte aspettative su questo progetto, anche perché parliamo di carne che diventerà super controllata, trasparente e certificata e potrà anche entrare nel mercato, andando a debellare il fenomeno del bracconaggio e del mercato nero, che nella nostra città è molto comune”.
Un altro problema per Roma e provincia è l’acqua.
“L’acqua è il petrolio del futuro. Purtroppo negli ultimi anni, con i cambiamenti cimatici, il nostro territorio non è stato più capace di resistere alle continue siccità, per questo stiamo investendo moltissimo sui contratti di bonifica che sono enti istituiti per regio decreto che possono sembrare vecchi, ma invece non sono mai stati così attuali”.
Come sono i rapporti con le istituzioni?
“Come organizzazione abbiamo la tendenza a collaborare con tutti. Certo con la Regione Lazio abbiamo momenti di confronti che sono più continui. Per quanto riguarda il Comune di Roma ci interfacciamo in particolare con la sindaca Raggi, con l’assessore al Commercio Carlo Caffarotti e anche con l’assessore all’Ambiente, Laura Fiorini e devo dire che si sono sempre dimostrati molto attenti”.
Oltre a dimostrarsi molto attenti, c’è qualche atto concreto nel vostro settore che merita di essere menzionato?
“Esiste una legge, che si chiama legge di orientamento, che riguarda la multifunzionalità d’impresa e prevede che le aziende agricole al di fuori dei bandi di gara possano avere delle piccole tranche di lavoro nel pubblico ed il fatto che Roma Capitale abbia istituito un albo di imprese agricole da dove si può attingere per far lavorare, a chiamata e secondo criteri di legge, alcune imprese per la manutenzione del verde, per me è un grande risultato”.
Che futuro ha l’agricoltura?
“Sarà attrattiva nei confronti dei giovani? Il comparto agricolo è ad altissima capitalizzazione e a basso reddito. È chiaro che chi decide di lavorare qui ha in mente un altro tipo di ricchezza che chiameremo generativa. Chi fa l’agricoltore pensa a fare reddito, ma poi pensa anche ad altro: alle aree verdi vicino alla città, ad una certa manutenzione territoriale e ad una certa salubrità dell’ambiente. La più grande forma di costruzione della ricchezza è sicuramente il modello agricolo”.
Quindi la sfida sull’ambiente fa parte del vostro Dna?
“Per noi la cura del Creato è fondamentale, abbiamo aderito a livello nazionale al Manifesto di Assisi e crediamo che il green new deal rappresenti bene i nostri valori: guardiamo alle opportunità di sviluppo, ma con un’attenzione particolare per la nostra casa comune, come ci ricorda Papa Francesco”.