Maria Fermanelli è la Presidente della CNA Roma: prima donna alla guida di una delle associazioni di settore più importanti della Capitale, è un architetto che ha cambiato rotta trasformandosi in imprenditrice nel settore agroalimentare con un’attività nei pressi del Pantheon.
Presidente se l’aspettava questa elezione?
“È un pensiero che non mi aveva mai sfiorato, ma poi ho capito che poteva avere un senso e un potenziale di cambiamento in mezzo a tutte queste difficoltà. La governance è di pensiero maschile ed è una stratificazione secolare dove si avverte la mancanza di alcune componenti di cui le donne sono portatrici ed è abbastanza singolare visto che, in un’istituzione come la famiglia, questa sinergia uomo/donna funziona da millenni. Insomma, anche se ho 76 anni capisco di essere portatrice di qualcosa di nuovo e credo sia il momento giusto, in un’epoca di cambiamenti come quella che stiamo vivendo”.
Con quale idee guiderà la CNA in questo mandato?
“Noi rappresentiamo la media e piccola impresa, parliamo di persone e quindi la priorità assoluta in questo momento è non perdere il patrimonio di saperi che è poco sostenuto a causa di globalizzazione e crisi economiche degli ultimi anni: dobbiamo essere in grado di promuovere e valorizzare le economie di prossimità, sfruttando anche i risvolti positivi che la pandemia ci ha dimostrato. Ad esempio è paradossale che in una città come Roma le periferie abbiano trovato una nuova vitalità e questo ci fa capire che abbiamo bisogno di un servizio “sartoriale”, a misura d’uomo, che c’è bisogno di ricucire un tessuto, di incontrarci, non solo attraverso le piattaforme digitali. E poi fa piacere a tutti trovare un prodotto non standardizzato, unico e siamo noi della piccola e media impresa che dobbiamo farci portatori di questa unicità e di questo innalzamento della qualità”.
Le economie di prossimità sono legate anche al modello della città in 15 minuti su cui punta molto anche Gualtieri?
“Sì, fa bene il nuovo sindaco a puntare su questo tema che non significa certo poter attraversare una città così grande come Roma in un quarto d’ora quanto piuttosto avere a portata di mano tutti i servizi fondamentali e questo si può fare dopo aver ascoltato i cittadini e capito le esigenze di un territorio: garantire vivibilità e qualità in ogni quartiere sarebbe davvero la rivoluzione copernicana per la Capitale e in questo il ruolo delle imprese è fondamentale”.
Piano piano sembra che il covid si stia trasformando in qualcosa di meno letale, è davvero il momento della ripartenza?
“C’è una grande voglia di ripresa, anche se purtroppo c’è una forte elemento di incertezza ed è la guerra in Ucraina. Il mondo delle imprese ha voglia di ripartire, ci sono tanti bandi e tanti incentivi, basti pensare ai bonus edilizi e alla riqualificazione urbana, e poi sta ripartendo il turismo con la bella stagione, il covid che ha allentano la presa anche perché si va verso la bella stagione e siamo tutti vaccinati”.
A proposito di turisti, se da una parte le periferie hanno riacquistato vitalità dall’altra c’è il problema centro storico.
“Sì, il centro storico è ancora ferito e le parole chiave per risollevarlo sono strategia e legalità, due facce della stessa medaglia. Ci siamo resi conto, soprattutto durante la pandemia, che ormai nel centro storico non ci abita più nessuno, ci sono affittacamere e bed and breakfast ovunque e questo ha chiaramente cambiato la natura del quartiere, perché ogni quartiere ha bisogno di persone che ci vivano, che costruiscano il tessuto sociale, ecco perché è necessario regolamentare anche questa situazione, e qui entra in campo la strategia: non possiamo pensare alla città come se ci fosse un ambito separato per ogni cosa, va pensato tutto in una strategia unica, serve un pensiero integrato che preservi la qualità. Anche le politiche pubbliche devono supportarci in questo processo ed è interessante la legge sulle botteghe storiche: si tratta di una norma approvata da poco che sta trovando i suoi pezzi di attuazione, ma la direzione è giusta perché si punta a preservare non solo le mura ma anche l’attività erogata, e cioè “l’immateriale”, in modo che poi in ogni zona si creino peculiarità e interessi specifici. C’è anche il problema che tante imprese vengono rilevate a prezzi stracciati da capitali di dubbia provenienza, questa sostituzione non bella dei presidi territoriali non può andare avanti così, non possiamo chiudere gli occhi: non si risolve tutto nell’interesse privato ma l’impresa trova il suo senso se insieme al profitto riesce a restituire pezzi di valore alla collettività”.
Dal 1° aprile si sono tornati a pagare dehors e tavolini, ma le tariffe sono quelle precovid.
“Città come Londra e Parigi, con climi proibitivi rispetto al nostro, hanno saputo trasformarsi in città a cielo aperto e perciò ben venga questa apertura che è stata fatta su tavolini e dehors. Per noi è giusto che si paghi, perché si occupa un pezzo di suolo pubblico e si sottraggono aree ad esempio al parcheggio, si crea qualche disagio in più ai residenti ed è un qualcosa che permette all’attività di avere maggior guadagno. È però determinante che queste istallazioni siano controllate nella giusta misura, nelle giuste modalità del decoro, con gusto e piacere di creare aree belle, magari alcune con più visione e strategia perché si vedono molte cose belle ed altre un po’ meno”.
Qual è lo stato di salute dell’imprenditoria al femminile nel nostro territorio?
“L’imprenditoria al femminile ha avuto un trend sempre in crescita, e questo è anche un segnale del fatto che c’è poca occupazione perché la nascita di nuove imprese è inversamente proporzionale al tasso di welfare e quindi ci troviamo in molti casi di fronte a realtà imprenditoriali fragili proprio perché mancano strumenti di welfare che sono ancora legati al vecchio sistema patriarcale e troppo spesso andare in maternità significa abbandonare la propria attività. Allarga il cuore vedere che la parità di genere è tra i tre pilastri nel PNRR e il fatto che dopo 20 anni sia stato istituito un fondo destinato alle donne è davvero un segnale importante come lo è l’Assegno Unico che è una forma di tutela che finalmente non è riservata solamente al lavoro dipendente. La nostra repubblica si fonda sul lavoro, ma non su quello maschile e poi occupare le donne è un’azione strettamente economica, non è un’azione di welfare, perché il pil aumenta se le donne lavorano”.