Il Caffè di Roma ha intervistato David Granieri, presidente della Federazione Regionale Lazio di Coldiretti, sul recente successo delle aziende vinicole del Lazio al Vinitaly 2022, finalmente in presenza dopo due anni, anche perché il vino va assaggiato. Il Lazio com’è stato rappresentato? “È andato molto bene, è stato un buon segnale di ripartenza, la gente aveva tantissima voglia di ricominciare, i buyer avevano voglia di incontrare aziende, abbiamo scoperto che le produzioni sono andate avanti nonostante avessimo l’idea che avessero spento tutto per questi due anni. Ho visto un padiglione Lazio molto effervescente, con un approccio nuovo, con degustazioni continue, un approccio significativo anche nel rapporto con gli chef che erano sempre presenti per gli abbinamenti e credo che questa centralità del cibo sia fondamentale. Non abbiamo ancora i risultati, ma un movimento così io non lo ricordo e poi abbiamo visto tutti i consorzi in campo, con una grande collaborazione per sponsorizzare il nostro vino che è il vero ambasciatore del Lazio nel mondo”. Un recente report ci dice che nella produzione del vino del nostro paese c’è un exploit di imprese guidate da giovanissimi. È così anche per la nostra regione? “Il Lazio è una delle regione leader nell’ingresso di nuove aziende, sono sempre di più quelle che nascono che quelle che chiudono. Siamo una regione molto particolare, con un modello variegato anche in ragione del territorio: passiamo dalla dorsale appenninica al mare, ma sempre con grande capacità di innovazione e con grande fantasia. C’è ancora il passaggio generazionale, noi abbiamo un gruppo giovani sul quale investiamo, come dinamica aziendale e come classe dirigente e la norma è vedere questi figli che prendono l’azienda dei genitori ma si laureano e portano, oltre alle consuetudini aziendali della famiglia, nuove conoscenze”. Oggi produrre vino costa fino al 35% in più, cosa chiedete a Governo, Regione Lazio e Comuni per aiutare un settore così importante? “In questo caso la scelta è quella di sfruttare tutto ciò che abbiamo, una nuova politica agricola comune deve essere lo strumento per trovare la sovranità alimentare e allora il Pnrr deve essere anche un grande volano per la sovranità energetica. Faccio l’esempio pratico delle cantine: il fattore per la produzione delle bottiglie di vetro è l’energia e, non a caso, i più grandi esportatori di vetro sono i francesi perché hanno un vantaggio energetico che noi non abbiamo ma una soluzione dobbiamo trovarla. Le speculazioni sui carburanti delle scorse settimane hanno solo acceso il faro su queste cose, c’è una situazione che ci spingerà a cambiare. È molto interessante, ad esempio, questo nuovo sistema di nucleare che ha brevettato l’ENI, un nucleare pulito a contenimento magnetico, che dimostra come a livello di ricerca siamo davvero avanzati poi è tutto da valutare e da decidere, mi sembra sciocco però soffrire questa situazione pensando che le centrali nucleari stanno in Francia e alcune regione ce l’hanno vicinissime”. Non solo il vino, tutto il settore agricolo è in crescita. “Sì, se è vero che c’è sempre stata, negli ultimi 20 anni, una tendenza al ritorno alla terra, va detto che negli ultimi 2 anni e mezzo c’è stato un vero boom, anche con grossi spostamenti di capitali che significa che non si tratta più solo di un bene rifugio ma anche di un settore dove ci sono prospettive di sviluppo”. La guerra cosa comporta in questo momento? “La situazione degli ultimi due mesi ha determinato un altro cambiamento. Un cambiamento che non si risolverà con l’uscita dei carri armati dall’Ucraina perché si è generata una disconnessione mondiale che ha cambiato tutto. Questo ci sta convincendo sempre di più che l’Italia deve puntare sulla sovranità alimentare proprio perché nei primi giorni della guerra, anche in ragione di speculazioni attive, c’è stato qualche momento in cui si è trovato il supermercato senza farina. Si trattava di qualche speculazione ma la gente ha reagito male, perché il cibo ha una centralità dal punto di vista economico ma anche della stabilità sociale. Noi avevamo ragione quando abbiamo sostenuto il bando “chilometro zero” che è uno strumento fondamentale che deve essere sfruttato per rafforzare la filiera locale che non è solo agricola”. A Roma e nella Regione Lazio, gli agricoltori devono anche combattere con i cinghiali. “Il tema della fauna selvatica non riguarda solo noi ma tutta Italia, dobbiamo essere ragionevoli e immaginare che il contenimento della fauna selvatica non è un atto spregevole verso gli animali ma un atto di prevenzione per chi deve produrre, e cioè le famiglie italiane. Le strumentalizzazioni sono inutili, qui dobbiamo decidere chi mangia: o i cinghiali o l’uomo. Noi abbiamo chiesto il razionamento, l’inserimento di razze autoctone e la loro gestione perché l’eccesso non sta bene da nessuna parte, e oggi c’è un eccesso. Non si può neanche parlare di difesa della natura perché di naturale c’è ben poco visto che sono state introdotto razze non autoctone di cinghiali (di origine ungherese) che hanno una grandissima capacità di riproduzione e non riescono a essere contenute nei nostri habitat”. Parliamo del settore agricolo, siccità e aumento dei costi delle materie prima hanno caratterizzato questo tempo di semina, si apre il problema della produzione di cereali. “La semina è stata difficilissima, anche a causa della siccità. Noi siamo promotori del piano bacini perché l’acqua non sarà una risorsa infinita. Vogliamo fare in modo che il Lazio possa essere protagonista di questa attività e cioè la costruzione di bacini di accumulo, che ci darebbe un grande vantaggio competitivo. Quest’anno ai primi di marzo nell’agro pontino hanno già cominciato ad innaffiare e non è mai successo e prevediamo che in futuri, per i cereali ma anche per settori che venivano fatti in asciutta, l’investimento sulle acque sarà più che mai necessario. Abbiamo le possibilità perché ci sono superfici a disposizione e abbiamo le capacità e poi perché ci sono varietà di acque molto serie con alta carica proteica per permettere un buon prodotto. Siamo convinti che produrre in Italia è un grande valore, siamo primi nel mondo, dobbiamo sfruttare tutto ciò che è possibile per essere ancora più competitivi”. Anche i pescatori del Lazio stanno vivendo un momento di crisi visto l’aumento dei costi del carburante, un aumento che non può essere giustificato con la guerra perché in altri paesi , anche europei, non ci sono stati questi aumenti. “Nel Lazio abbiamo una bella flotta peschereccia e una notevole capacità di accorciare la filiera perché il pescato fresco arriva subito nei ristoranti e la capacità di ristorazione sul Lazio e su Roma è supportata da queste persone che escono di notte, lavorano sodo, si sacrificano. La speculazione sul carburante per loro è stata drammatica, e rimane senza risposte perché il carburante è soggetto a vigilanza, e se i magazzini erano pieni com’era possibile che continuasse a salire il costo? Si tratta di un settore già con diversi fattori di rischio, non parliamo di una catena di montaggio, perché si esce solo se il tempo lo permette, si esce in certi periodi perché ci sono dei fermi per permettere la riproduzione di alcune specie, e quindi, al di là del costo di manutenzione della barca, si capisce che il costo di produzione più importante è proprio il gasolio, anche perché da tutto questo purtroppo si esclude sempre il know-how del pescatore. Come Lazio dobbiamo fare di più per questo settore, esiste già il FEAMP, il Fondo pesca, ma non credo sia più sufficiente, dovremmo aiutare la flotta del Lazio con un sistema per aiutarli in maniera più sistematica e con azioni più mirate”. Luca Rossi
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