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Il Caffè di Roma
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Continua la nostra inchiesta: ecco le prove

Ponte ‘scomparso’, mistero risolto a metà

Ponte ‘scomparso’, mistero risolto a metà

In giallo la sede della Città Metropolitana, in verde quella dell’Eni. In rosso l’area in cui è stato rinvenuto un ponte romano di legno lungo 12 metri non quello di Marco Aurelio

 

Il mistero del “Ponte scomparso” all’Eur comincia ad essere un po’ meno misterioso. La nostra inchiesta sta facendo luce, pezzo dopo pezzo, di che cosa sia veramente accaduto.

Il ponte imperiale di Marco Aurelio ad unica arcata del II secolo d.C. non si trova, né tanto meno è stato mai rinvenuto sotto la nuova sede Eni di Roma – Eur in viale Giorgio Ribotta 51, al contrario di quanto dichiarato (per due volte) dalla Soprintendenza Archeologica davanti ai membri della Commissione capitolina Trasparenza che ha aperto una indagine sulla sua scomparsa: Commissione  composta – giova ricordarlo – dal presidente Marco Palumbo (PD) e dai due vicepresidente Francesco Figliomeni (FdI) e Monica Montella (Misto).

LA GEOMETRIA CI DÀ RAGIONE
L’assenza del ponte è testimoniata da foto
(esclusive per Il Caffè) che ritraggono l’area circostante l’attuale sede della Città Metropolitana di Roma scattate prima che il Gruppo edile Parnasi costruisse l’alto palazzo in cui oggi ha sede l’Ente Nazionale Idrocarburi.

Nelle foto sono ben visibili i ‘basamenti’ (così si chiamano tecnicamente) su cui poggiava un ponte di legno lungo circa 12 metri che permetteva a persone e carri trainati da bestiame di attraversare uno dei tanti fossi che caratterizzavano anticamente questa zona. La lunghezza del ponte e la larghezza del fosso – circa 12 metri – sono decisamente incompatibili con la caratteristica dell’arcata unica del ponte di Marco Aurelio. Nella storia, l’arco romano ad unica arcata – anche detto a ‘tutto sesto’, largo al massimo ‘soli’ 3,5 metri, per ragioni geometriche e statiche –  è divenuto così famoso da trasformarsi in un vero e proprio ‘marchio di fabbrica’ delle costruzioni ingegneristiche dell’epoca. Questi ‘basamenti’ e il ponte di legno che vi si poggiava sopra non vanno quindi in alcun modo confusi con le spallette del ponte ad unica arcata ampia circa 3,5 metri rinvenute (insieme ad una grossa stele di travertino) tra il parco del Castellaccio e l’attuale Burger King, a due passi da via Paride Stefanini, a circa 150 metri di distanza in linea d’aria dal ponte di legno.

MEZZO MISTERO RISOLTO
Dopo otto mesi di insulti – qualcuno ebbe a definirci sui social ‘archeologi della domenica’ e ‘giornalai’ – il Caffè di Roma ha risolto così la prima metà del ‘mistero’ (“Cosa c’è sotto la sede Eni?”) che circonda la vicenda della ‘scomparsa’ del ponte di Marco Aurelio, da noi sollevata a luglio scorso. L’altra metà del ‘mistero’ (“Dove è finito il ponte di Marco Aurelio?”) la può svelare solo la Soprintendenza Archeologica di Roma.

IL  MURO DI GOMMA
Negli ultimi mesi abbiamo invocato più volte chiarezza
. Per tutta risposta la Soprintendenza si è limitata, la scorsa estate, a fornirci solo una copia (tra l’altro incompleta perché senza foto!) del vincolo istituito nel 2016 dal Ministero dei Beni Culturali su questa stessa zona e che comprende, oltre al parco del Castellaccio, anche i terreni su cui si trovano oggi le due nuove sedi dell’Eni e dell’ex provincia di Roma. Ma non ha mai mostrato – né a noi né alla Commissione Trasparenza – l’antico ponte romano, arrivando persino a negare ai consiglieri capitolini – membri della Commissione stessa – di poter consultare tutti i documenti che avrebbero potuto fare luce sul caso.

I CAMBI DI VERSIONE DEL FUNZIONARIO
La Soprintendenza ha anche cambiato due volte versione dei fatti e della storia. Il 18 settembre, in una prima seduta della Commissione Trasparenza, l’archeologo Rocco Bochicchio (delegato per il IX Municipio) aveva difatti dichiarato che il reperto archeologico era stato interrato a scopo conservativo a circa 9 metri di profondità, proprio davanti la sede dell’Eni, e scavare per tirarlo fuori sarebbe stato improbabile.
Il 19 novembre Bochicchio si è ‘rimangiato’ la tesi precedente sostenendo che il ponte sarebbe conservato in presunti locali interrati sottostanti l’ingresso dell’Eni, ma inaccessibili, se non con autorizzazioni che avrebbero richiesto tempi biblici. Poco dopo, il nostro giornale ha contattato l’Eni e il fondo immobiliare internazionale Silver Fir Capital, rispettivamente affittuario e proprietario della sede Eni, e addirittura la società che ha progettato il palazzo, ossia la prestigiosa MSC Associati Architettura e Ingegneria di Milano. Tutti costoro ci hanno risposto affermando, in sostanza, di non aver mai visto né sentito parlare del ponte imperiale di Marco Aurelio. Le loro risposte, come dimostrano le nostre foto, sono veritiere dal momento che effettivamente il ponte imperiale non si trovava sotto la sede Eni, ma nel parco del Castellaccio, come riportato in un articolo scientifico del 2006 redatto della dottoressa Anna Buccellato, ex dirigente della Soprintendenza ora in pensione, articolo poi ripreso e inserito (con tanto di mappa!) dall’Archeologo Fabio Ascani in un volume universitario del 2008.

CHI È ORA CHE FARÀ CHIAREZZA?
A questo punto ri-formuliamo di nuovo la domanda da noi già posta 8 mesi fa: “Che fine ha fatto il ponte di Marco Aurelio?” È finito ‘distrattamente’ in discarica? O magari è a casa di qualche ricco estimatore?
Speriamo che la Soprintendenza riesca a fare chiarezza, magari prima che debba essere la magistratura ad intervenire per fare luce su tutta la vicenda.


Sul ponte ora indaga anche la Commissione Cultura

Lunedì 8 febbraio è stato un giorno importante per la vicenda dell’antico Ponte romano scomparso, costruito dall’imperatore Marco Aurelio.

A riprova della rilevanza per la città di quanto affermato in questi mesi da Il Caffè, lunedì 8 febbraio si è tenuta una sessione dedicata alla vicenda della commissione cultura Capitolina, presieduta dalla consigliera Eleonora Guadagno. La consigliera Monica Montella, vicepresidente della Commissione Trasparenza, che già si era occupata a novembre della questione, ne ha chiesto ed ottenuto la calendarizzazione insieme al consigliere vice presidente Andrea De Priamo.

Dobbiamo purtroppo rilevare che il dottor Rocco Bochicchio della Soprintendenza speciale archeologica di Roma non era presente e in sua vece ha partecipato la dottoressa Maria Gabriella Cimino che però è potuta intervenire solo pochi minuto e alla fine a causa un malfunzionamento.
Chi scrive, insieme al collega Daniele Castri, ha illustrato alla commissione i rilievi che Il Caffè da mesi ha fatto notare in tanti articoli e cioè che il punto dove sarebbe stato ritrovato ed interrato il ponte romano non sembra essere quello indicato dalla Soprintendenza e questo su basi di argomentazioni geometriche pubblicate lo scorso numero, oltre che da problematiche relative ai vincoli imposti. Ma oltre questo, è stato da noi chiesto perché la vasta area museale posta sul colle sia ancora desolatamente vuota e mai inaugurata e questo insieme alla struttura scolastica ancora non completata da anni e alla pista ciclabile inutilizzabile. E come sia possibile che tutto questo, posto in uno splendido parco al Castellaccio, alla confluenza di due fossi importanti come il Vallerano e l’Acqua Acetosa, non sia ancora usufruibile al pubblico. Anzi il parco non risulta mai essere stato inaugurato.

La soprintendenza ha messo a disposizione due documenti di cui uno giù noto, sul vincolo del Mibact (senza foto), e l’altro a firma dottor Rocco Bochicchio e della soprintendente speciale Daniela Porro, in risposta all’assessorato alla Cultura del IX Municipio in cui si ribadisce la tesi dell’interro, poi mutata dalla stessa Soprintendenza in custodia in un locale dedicato ed accessibile per poi tornare alla vecchia tesi originale. La presidente Guadagno ha dichiarato di voler proporre una commissione congiunta Cultura e Ambiente per indagare ulteriormente. Come si vede quindi le nostre inchieste non solo erano fondate, ma stanno via via salendo di competenza avendo anche raggiunto lo stesso Ministero dei Beni Culturali a riprova che non bisogna mai mollare e che il giornalismo investigativo ha ancora una funzione molto importante nella nostra società.
Giuseppe Vatinno


13/02/2021
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