Scambio elettorale politico mafioso. Con quest’accusa la Dda di Roma ha indagato a piede libero l’eurodeputato leghista Matteo Adinolfi. L’esponente del partito di Salvini è finito in un’inchiesta in cui sono confluite le indagini portate avanti dai carabinieri del reparto di Aprilia, nel procedimento della Procura di Latina denominato “Touchdown”, e quelle della squadra mobile di Latina, nel procedimento della Dda capitolina denominato “Alba Pontina”, e che con la stessa accusa hanno ora portato agli arresti domiciliari per l’imprenditore Raffaele Del Prete, impegnato nel settore dei rifiuti, ed Emanuele Forzan, all’epoca dei fatti impegnato nella segreteria di Noi con Salvini a Latina e attualmente nella comunicazione delle attività dello stesso partito in Regione Lazio.
SISTEMA CORRUTTIVO SVELATO DAI PENTITI
Gli arresti sono stati disposti dal gip del Tribunale di Roma alla luce delle intercettazioni effettuate dagli investigatori, delle dichiarazioni dei pentiti Renato Pugliese e Agostino Riccardo, e dei riscontri alle informazioni raccolte. Nell’ambito di “Touchdown”, inchiesta relativa a un sistema corruttivo tra le province di Latina e Roma, gli inquirenti sostengono che è stato accertato “l’intervento illecito” di Del Prete “in occasione delle elezioni amministrative per il rinnovo del consiglio comunale di Latina del 5 giugno 2016.
45MILA AL CLAN PER VOTI AD ADINOLFI
In particolare l’imprenditore, pagando 45mila euro a membri del clan Di Silvio tramite Riccardo, all’epoca impegnato nei rapporti tra lo stesso clan di cui era parte e la politica, “assicurava l’aggiudicazione di almeno duecento voti al capolista candidato nella lista Noi con Salvini”, ovvero Matteo Adinolfi, “nei quartieri di influenza criminale” dei Di Silvio. Sempre gli inquirenti sostengono inoltre che “tali evidenze investigative erano confermate dalle indagini condotte dalla Polizia di Stato e dalle dichiarazioni etero accusatorie in cui i collaboratori di giustizia Riccardo e Pugliese”, quest’ultimo figlio del boss Costantino Cha Cha Di Silvio, “confermavano quanto accertato da militari dell’Arma”.
POLITICA E CLAN: AGOSTINO RICCARDO ERA L’INTERMEDIARIO
Ancora: “Nella circostanza è stato documentato che il collaboratore Riccardo Agostino”, anche lui indagato a piede libero per scambio elettorale politico mafioso, “è risultato essere il tramite per l’accordo politico mafioso tra il clan Di Silvio e l’imprenditore operante nel settore dei rifiuti”. Dalle dichiarazioni dello stesso, è emerso che il pentito “aveva ricevuto una sorta di investitura da parte del clan Di Silvio nel curare i rapporti con la politica della provincia di Latina e in occasione della tornata elettorale del 5 giugno 2016”, tramite Del Prete, “di sostenere la candidatura” di Adinolfi, “nonché dell’attacchinaggio dei manifesti relativi a detto candidato”.
DOVE È AVVENUTO IL PAGAMENTO
Il pagamento dei 45mila euro sarebbe avvenuto in tre tranche all’interno dell’azienda di Del Prete e, in base all’accordo illecito, “nessuno degli appartenenti alla famiglia Di Silvio si sarebbe dovuto presentare presso la sede del partito, per evitare di apparire come “collettore” di voti procurati da soggetto intraneo al clan, ma che l’imprenditore avrebbe fatto avere le comunicazioni al clan esclusivamente tramite il Riccardo”.
A COSA SERVIVA L’ELEZIONE DI ADINOLFI
L’elezione di Adinolfi, secondo gli investigatori, “sarebbe stata per l’imprenditore pontino funzionale alle strategie economiche della sua società, per ottenere verosimilmente il monopolio nella gestione dei rifiuti e delle bonifiche nel territorio pontino”.
ADINOLFI: FIDUCIA NELLA MAGISTRATURA
Adinolfi, al quale è stato notificato un avviso di interrogatorio, a cui verrà sottoposto dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma, dal canto suo sostiene di essere estraneo ai fatti contestati. “Vediamo cosa dicono le carte, io ho fiducia nella magistratura, ma io so che non ho fatto nulla”, ha detto rientrando a Roma da Bruxelles. Nella stessa inchiesta infine sono emersi dubbi anche sui rapporti tra Del Prete e un esponente della Lega a Terracina.
LE REAZIONI
A dare battaglia intanto sono i parlamentari pentastellati della commissione parlamentare antimafia. “Quanto continua ad emergere dalle inchieste di Latina presenta un quadro indiziario gravissimo. Un imprenditore dei rifiuti avrebbe pagato 45.000 euro al clan Di Silvio per far eleggere alle comunali del 2016 nella lista Noi con Salvini, l’attuale europarlamentare Matteo Adinolfi, ora indagato. Gli arresti – dichiarano – testimoniano il pericolo della distruzione del processo democratico se la politica non si schiera in maniera forte e determinata contro le mafie”. Di più: “Il nostro è un grido d’allarme perché con l’approssimarsi delle elezioni amministrative, si deve impedire ai clan di condizionare il processo politico e democratico. Ed è necessario ricordare come i Di Silvio di Latina, attraverso i Casamonica hanno radici anche nella capitale ed è necessario vigilare su tutti i fronti”.