L’annullamento del Ptpr Lazio ha generato una incertezza normativa che ha travolto le pubbliche amministrazioni e gli operatori del settore, tra l’altro in un momento in cui l’economia batte decisamente la fiacca. Quali gli effetti negativi per i tecnici di Roma e provincia?
“Gli effetti sono gravissimi. Il territorio del Lazio ha moltissime zone sottoposte a vincolo. Alcune sono aree protette e devono, pertanto, rimanere in uno stato inedificato, ma in tante altre la tutela consentirebbe edificazione e trasformazioni edilizie. L’annullamento del PTPR ha prodotto una rara empasse normativa: tutta l’attività edilizia che va al di là della manutenzione ordinaria è preclusa. Rischiano di essere annullati dei permessi già approvati per opere da realizzare, i cui cantieri è possibile che siano già in corso di esecuzione. E’ come aver costruito una nuova autostrada, averla aperta al traffico automobilistico ma, all’improvviso, eliminarne un tratto, magari mentre le automobili vi transitano sopra. Tutto questo non fa altro che generare ulteriore incertezza nel diritto urbanistico”.
È in corso una interlocuzione tra Regione e Mibact per predisporre una versione nuova e condivisa di Ptpr: qual è il vostro principale auspicio in vista del nuovo Piano?
“Mi auguro che decidano molto velocemente, perchè è naturale che amministrazioni diverse abbiano differenti visioni sullo sviluppo territoriale, ma non possono rimmetterci sempre cittadini e professionisti, soprattutto in un momento storico come questo, dove ci sono degli incentivi da poter utilizzare e “sfruttare” per superare il periodo di crisi. Ad esempio, a molti edifici potrebbe essere impedito l’accesso al superbonus 110%. Il Piano non è uno strumento perfetto, perché in urbanistica non vi è nulla di perfetto. Ma non è neanche un cattivo Piano, anzi è fatto meglio di altri o comunque ormai lo abbiamo imparato a conoscere. Non andrebbe modificato più di tanto. L’auspicio è che le amministrazioni trovino un punto d’incontro e che portino in tempi rapidi un testo condiviso con il Ministero per l’approvazione del Consiglio Regionale”.
L’edilizia è ferma da più di un decennio. Poi si è aggiunto il Covid. Infine l’annullamento del Ptpr Lazio. Qual è la ricetta giusta per rilanciare il settore contemperando gli interessi di sviluppo con quelli di salvaguardia del territorio?
“La “ricetta” è ridurre l’incertezza data dall’interpretazione delle normative, che in Italia sono troppo teroriche e che, pertanto sono difficili da comprendere. Le differenti letture della stessa norma sono la causa, molto spesso, delle divergenze con gli uffici tecinic comunali, che possono annullare anche i permessi per costruire. Le regole dovrebbero essere calate nei contesti reali. Ciò aiuterebbe a snellire le procedure e la burocrazia.
La serenità nel costruire deriverebbe da un piano approvato dal Comune in cui si siano stabiliti tutti i dettagli con precisione: quanto debba essere grande l’edificio, quale sagoma debba avere, quale la sua altezza. In tal modo si conoscerebbero le possibilità reali e i limiti. Per ottenere questi risultati si dovrebbe avere un’urbanistica pianificata e meno teorica, si avrebbe così la certezza dell’investimento immobiliare”.
Si parla molto di rigenerazione urbana: a Roma e provincia è davvero possibile? Come?
“Se parliamo di rigenerazione urbana in senso lato, la complessità dell’intervenire sull’esistente è sempre la parcellizzazione della proprietà, come ad esempio i condomini. La rigenerazione prevede di intervenire a livello urbanistico anche demolendo edifici esistenti per riconfigurare interi ambiti di città. Quante sono le zone di Roma in cui tutti gli edifici, o almeno buona parte, appartengono allo stesso soggetto? Pochissime, e si tratta anche di fare attenzione a non creare monopoli speculativi. Se si parla di rigenerazione riferendosi all’attuale norma regionale, la Legge 7/2017, possiamo dire che questa ha delle interessanti prospettive. Ma poiché la sua operatività è demandata al potere decisionale dei comuni, in molte zone del Lazio la norma non è mai stata applicata. Roma, ad esempio, non ha mai ufficializzato nessun interesse a renderla attuabile nel suo territorio. La Regione dovrebbe spronare i comuni ad emanare le delibere attuative”.
Ci sono altre criticità che intravedete e che impediscono una serena progettazione di interventi sull’esistente, ai fini della sicurezza sismica e dell’efficientamento energetico?
“Tra le tante, forse troppe, probabilmente spicca l’attuale “complicazione” degli interventi nelle zone territoriali omogenee di tipo A (centri storici), avvenuta con il decreto “Semplificazioni”. Ad oggi, in assenza di specifiche previsioni degli strumenti urbanistici, non è possibile operare mediante demolizione e ricostruzione in zona A senza un “piano di recupero”, il quale è uno strumento urbanistico complesso e dai tempi di approvazione sempre troppo lunghi, a volte anche di decenni. In pratica, laddove un comune non abbia un piano regolatore “avveduto”, si rischia la totale paralisi della rigenerazione dei centri storici. In questi ambiti non è mai facile intervenire, perché spesso sono presenti già vincoli paesaggistici o altre tipologie di tutela, che comunque sottopongono l’attività edilizia ad autorizzazioni preventive. La nuova “stretta” sulle demolizioni e ricostruzioni appare oggettivamente incongrua e lesiva del diritto dei cittadini a poter programmare interventi invasivi sui propri edifici ai fini di messa in sicurezza sismica ed efficienza energetica. Non possiamo, difatti, pensare di continuare a vivere in centri storici fossilizzati, altrimenti, ne vedremo ben presto lo spopolamento, soprattutto in quelli minori”.