Interessante analisi di due ricercatori: la curva dei contagiati è in discesa in moltissime aree italiane, compreso il Lazio. Ma non tutto, purtroppo. Lo rivela uno studio pubblicato su Scienza in Rete, sito indipendente di ricercatori e personaggi del mondo scientifico. “L’analisi delle sequenze temporali della frazione dei contagiati osservati rispetto alla popolazione della provincia rileva che 71 delle 107 province, presentano una diminuzione del tasso di crescita”, scrivono i due ricercatori Giovanni Sebastiani e Marco Massa. In pratica, la diffusione del coronavirus Sars-Cov2 rallenta e scende. Il tasso è misurato in termini di nuovi casi al giorno per 1.000 abitanti tra il primo e il 27 marzo.
Non significa affatto che allora è tutto risolto e che si può fare come ci pare. L’attenzione e la cautela devono restare massime.
Roma, dopo il picco – cioè il numero più alto di contagi diagnosticati – rilevato intorno al 24 marzo, inizia a vedere una timida discesa della curva. Anche le province di Rieti e Viterbo, dove il picco si è raggiunto qualche giorno prima, vedono una discesa rapida ma meno vistosa rispetto alla provincia di pontina.
Crollo verticale a Latina, dove l’aumento di nuovi contagi diagnosticati si avvicina allo zero dopo il 27 marzo.
Non così purtroppo per la provincia di Frosinone in cui l’ondata Covid19 è arrivata qualche giorno dopo: il 27 marzo risultava ancora con una fortissima impennata di nuovi casi, in pieno picco. Ma chissà se c’entra l’enorme inquinamento al quale il capoluogo ciociaro è notoriamente esposto: nei giorni scorsi uno studio della Società italiana di medicina ambientale (SIMA) ha pubblicato una ricerca secondo cui lo smog favorisce la diffusione del coronavirus. E Frosinone risulta tra i capoluoghi più ammorbati dalle polveri sottili PM10 (il pericoloso particolato con dimensione inferiore o uguale a 10 micrometri) emesso dai veicoli, fabbriche e inceneritori (in Ciociaria c’è quello di San Vittore, oltre al grosso polo industriale. Basata su molti altri studi, la ricerca della SIMA afferma che “il particolato atmosferico, oltre ad essere un carrier, cioè un vettore di trasporto e diffusione per molti contaminanti chimici e biologici, inclusi i virus, costituisce un substrato che può permettere al virus di rimanere nell’aria in condizioni vitali per un certo tempo, nell’ordine di ore o giorni”. Lo studio – svolto in collaborazione con le Università di Bari e di Bologna – ha esaminato i dati pubblicati sui siti delle Arpa (le Agenzie regionali per la protezione ambientale) relativi a tutte le centraline di rilevamento attive sul territorio nazionale, mettendoli poi a confronto con i casi di contagio.
Alcune amare sorprese in altre regioni dopo alcuni segnali positivi: “Le tre province di Catanzaro, La Spezia e Varese, che fino al 26 marzo avevano mostrato evidenza di aver superato il picco – spiegano i ricercatori -, hanno putroppo avuto un aumento notevole di casi diagnosticati fino al 27 marzo, come si può osservare per la provincia di Varese confrontando le figure 2 e 3. Un salto analogo è stato osservato nelle province del sud Sardegna. Per quanto riguarda le province di Catanzaro e Sud Sardegna – aggiungono Sebastiani e Massa su Scienza in Rete – , l’aumento è dovuto alla positività al coronavirus di ospiti e operatori di una casa di riposo a Chiaravalle Centrale e di un’altra a Sanluri, rispettivamente. Come è stato evidenziato da Giorgio Palù, virologo dell’Università di Padova e già presidente della Società europea di virologia, la diffusione di questo virus è tipicamente nosocomiale (si diffonde moltissimo in ospedali e strutture sanitarie, ndr). È quindi molto importante, e lo sarebbe stato anche di più nelle prime fasi della diffusione di questa malattia, attuare una campagna capillare di test su tutte le strutture di sanitarie di questo tipo.
Nel caso di Varese, sembra che questo sia imputabile ad un aumento significativo del numero di tamponi effettuati, probabilmente anche ad asintomatici. Osserviamo a questo riguardo che per l’analisi dei dati sarebbe molto importante sapere se ciascun test positivo è stato effettuato su un soggetto sintomatico o meno. Non conosciamo invece informazioni specifiche relative al caso della provincia di La Spezia”.
Una boccata d’ossigeno sulla stremata Lombardia, con dati al 26 marzo: 11 province su 12 “mostravano di aver superato il picco dei contagi”, scrivono gli autori dello studio. “L’analisi ha rivelato che la Lombardia si trova nella fase, seppur iniziale, di progressiva diminuzione del tasso di crescita del numero dei contagiati osservati. Tale tasso raggiungerà in pratica l’annullamento entro la metà di maggio. È molto importante sottolineare in primo luogo che questa stima è affetta da errore a causa di vari fattori, primo fra tutti il fatto che è basata sull’osservazione dei dati finora disponibili, i quali solo negli ultimi giorni contengono informazione sulla fase di diminuzione del tasso di crescita. Inoltre, il risultato vale se non cambierà l’ipotesi sul comportamento virtuoso degli italiani rispetto alle misure di riduzione del rischio di contagio introdotte dal governo. È quindi fondamentale che ciascuno di noi continui a fornire il proprio contributo, da solo trascurabile, ma che sommato a quelli di tutti gli altri, ha generato l’effetto osservato di frenata della diffusione dell’epidemia”.
Giovanni Sebastiani è un fisico, primo ricercatore presso l’Istituto per le Applicazioni del Calcolo “M. Picone” del Consiglio Nazionale delle Ricerche e si occupa di modelli e metodi stocastici e statistica bayesiana per applicazioni in Medicina e Sismologia. Istituto per le Applicazioni del Calcolo “M. Picone” of Consiglio Nazionale delle Ricerche. Marco Massa è invece un matematico, studente di dottorato e Graduate Teaching Assistant presso il Dipartimento di Matematica dell’Imperial College London.
I risultati della loro analisi, provincia per provincia, si possono scaricare qui