Era il luglio del 2015 quando Roberta Lombardi, eletta da meno di un anno e mezzo alla Camera dei deputati, fissò la sua residenza parlamentare in una palazzina a Tor Sapienza per fermare gli sfratti che cominciavano a fioccare tra gli inquilini del Piano di Zona ‘Longoni’. Da allora sono trascorsi quasi cinque anni. Le richieste di esecuzione pendono ancora sui residenti di molti dei 118 piani di edilizia agevolata e convenzionata sorti negli anni a Roma. Alcuni – tra coop edilizie fallite e convenzioni revocate – mai terminati, senza strade e servizi. E, nel frattempo, Roberta Lombardi da Montecitorio è passata alla Pisana, oggi capogruppo del M5s nel consiglio regionale del Lazio, dove da sei mesi presiede la commissione d’inchiesta sui Piani di zona. Tavolo che, assieme agli interventi della magistratura, ha scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora su queste lottizzazioni di edilizia residenziale che hanno tappezzato le periferie romane. E che alimentano il dibattito sull’emergenza abitativa nella Capitale. Il Caffè ha fatto il punto con lei sull’argomento.
On. Lombardi, in questi anni di militanza politica, quella sui Piani di Zona di Roma è stata una delle sue battaglie più sentite. Forse la più sentita…
«Assolutamente sì. Un percorso iniziato sei anni fa, quando ero parlamentare, nato da un’immersione nella situazione di emergenza abitativa romana. Quella dei Piani di Zona, come quella riguardante le case degli enti previdenziali privatizzate, è la storia di un patrimonio immobiliare sorto grazie a risorse pubbliche, di tutti, ma che è stato oggetto di speculazione e di arricchimento a vantaggio di pochi. E, al contempo, penso che niente incida sulla sfera psicologica e sociale delle persone come la precarietà nell’abitare. Questo in un periodo storico in quei l’emergenza abitativa viene derubricata a semplice problema di ordine pubblico.»
Sono recentemente arrivati i primi provvedimenti di revoca del contributo regionale ai costruttori coinvolti nel vortice giudiziario con al centro ipotesi di truffa ai danni degli assegnatari degli alloggi. La commissione d’inchiesta da lei presieduta sembra aver effettivamente portato, da parte della Regione, ai primi risultati che sindacati e inquilini chiedevano da tempo.
«Esatto. Io personalmente sono molto fiera di come sono stati condotti i lavori della Commissione in questi primi mesi. Il fattore decisivo è stato portare allo stesso tavolo tutti gli attori in causa: cittadini, imprese, cooperative, uffici comunali e regionali. Tutti sono stati ascoltati in quella che è stata, di fatto, una verifica amministrativa. E l’evidenza delle carte scaturite da questo tavolo ha fatto sì che non si potesse prendere una strada diversa da quelli che sono stati i primi provvedimenti adottati dagli uffici del dipartimento regionale.»
Ecco, a proposito di ‘verifica amministrativa’: sia il Comune di Roma che la Regione negli anni dovevano controllare. E infatti, in molti procedimenti giudiziari sui prezzi gonfiati degli appartamenti, è stata ammessa la loro ‘responsabilità civile’. Anche a fronte della revoca di alcune convenzioni urbanistiche da parte del Comune, stiamo assistendo finalmente ad un cambio di rotta?
«In questi anni c’è stato un vero e proprio buco nero nei controlli. La magistratura accerterà se ci sono responsabilità penali e se qualcuno lo ha voluto questo buco nero. Nel frattempo la commissione, parallelamente alla verifica del passato, sta lavorando proprio sul sistema dei controlli, su uno strumento condiviso da fornire a Regione e Comune. Nel concreto, un portale dove potranno essere caricati gli atti dei procedimenti, in modo da poter verificare gli adempimenti della pubblica amministrazione e dei privati.»
Tema sfratti. Con i recenti provvedimenti, alcuni alloggi sono passati nelle mani del Comune, sventando le richieste di esecuzione da parte delle banche. State lavorando ad una soluzione organica?
«Il potere di fermare gli sfratti è in capo allo Stato, non al presidente della Regione. Abbiamo più volte però tentato di far approvare una moratoria sugli sfratti. Nel frattempo in Regione abbiamo presentato circa un anno fa una proposta, a mia prima firma, per un Testo Unico della Casa, che tratta tutto il tema dell’edilizia residenziale pubblica, a partire dalle competenze amministrative. Nella discussione in merito al bilancio dell’anno scorso, l’assessore alla Casa Valeriani ci disse che stava preparando una revisione dell’impianto normativo della legge regionale in materia (ndr. la n.12 del 1999). Registriamo che però questo non è ancora avvenuto. Tuttavia c’è la nostra proposta da cui partire.»
L’amministrazione Raggi ha rilanciato l’housing sociale. È la soluzione giusta per contrastare l’emergenza abitativa della Capitale?
«È una strada, ma a mio avviso non può essere la strada principale. Lo Stato deve tornare a fare lo Stato: anche se con vincoli e prescrizioni, non può lasciare la sua funzione ai privati. E Comuni e Regione devono operare degli investimenti in materia di edilizia sovvenzionata, quella che è chiamata ‘edilizia popolare’. A Roma si deve tornare a fare – la vera – edilizia pubblica. Veniamo da vent’anni di provvedimenti su leggi ‘spot’. Siamo riusciti a recuperare dei vecchi progetti al Ministero di infrastrutture e Trasporti. Ecco, ora deve partire una stagione nazionale di edilizia pubblica. E di riforme. A cominciare da quella sulle Ater del Lazio, commissariate dal 2013: abbiamo proposto, nel Testo unico, una riforma sia sul piano della governance che della gestione.»