«Nei campi profughi di Lesbo ho visto situazioni terribili, insostenibili. Quindicimila persone stipate in uno spazio strettissimo, senza luce, senza niente. Con la buona volontà di tutti, dobbiamo svuotare questi campi, dobbiamo svuotarli totalmente. Apriamo le nostre canoniche, i nostri conventi, i monasteri, affinché ognuno ospiti almeno una famiglia dei campi profughi». A dirlo è stato sua eminenza il cardinale Konrad Krajewski, Elemosiniere di sua Santità, braccio destro di Papa Francesco per l’accoglienza degli ultimi sul territorio della diocesi di Roma e non solo, quel principe della Chiesa che, qualche mese fa, si era rimboccato le maniche della camicia, e aveva riattaccato con le sue mani la corrente di un palazzo occupato nella capitale, rievocando col concreto di questo gesto quella antica parola greca, “Kenosi”, che significa “svuotamento”, e che secondo autori come San Paolo e Sant’Agostino è al cuore stesso della testimonianza di Cristo, e dovrebbe sempre animare di conseguenza l’azione della Chiesa. Quelle di Krajewski sono parole forti, nette, che il porporato polacco pronuncia in una sala stampa dell’aeroporto di Fiumicino, in occasione dell’accoglienza di 33 rifugiati arrivati in Italia proprio dall’isola di Lesbo grazie ai corridoi umanitari della Comunità di Sant’Egidio. Al suo fianco il fondatore della Comunità, Andrea Riccardi, ribadisce con chiarezza l’appello che Sant’Egidio sta già da tempo rivolgendo ai governi dell’UE, invitati a far sì che l’esperienza dei corridoi umanitari diventi: «Condivisa da tutti i paesi europei». L’Elemosineria Vaticana e la Comunità di Sant’Egidio – che ha recentemente visto assegnata la sua chiesa di riferimento al neo cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna formatosi proprio nelle fila della comunità – sono già da tempo i due supporti operativi dell’azione caritatevole che marca in modo significativo l’intero pontificato di Papa Francesco. Se Krajewski ha assunto un ruolo rilevante come punto di riferimento per la carità sul territorio italiano e in particolare romano, con iniziative concrete come la donazione di uno stabile sotto al colonnato di San Pietro per sostenere il lavoro dei medici dell’Associazione Medicina Solidale, che curano gratuitamente le frange più povere di popolazione nella città di Roma, Sant’Egidio, pur molto radicata anch’essa sul territorio capitolino, ha spesso consentito alla Chiesa di operare con efficacia in territori lontanissimi, come accadde con la tessitura della tregua armata nella Repubblica Centrafricana in occasione della visita di Papa Francesco. L’Elemosineria gestita da “don Corrado”, come spesso viene chiamato il porporato polacco, e la Comunità di Sant’Egidio, presidiano con costanza il territorio romano anche con iniziative congiunte, come nel caso dell’antico palazzo nobiliare situato a fianco del colonnato di Piazza San Pietro dato in gestione a Sant’Egidio per essere messo a disposizione dei senza fissa dimora, con il sostegno dell’Elemosineria Apostolica. Le parole di Krajewski e il suo appello ad aprire le strutture della Chiesa ai profughi fanno eco a quelle forti di Papa Francesco che, all’inizio del suo pontificato, visitando il Centro Astalli, sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati, aveva rivolto a tutta la Chiesa lo stesso invito, per la verità suscitando una risposta piuttosto tiepida. Centro Astalli, Elemosineria Apostolica, Sant’Egidio, sono realtà associative che divengono emanazione di un programma ben preciso che sembra essere al centro di tutto il Pontificato di Bergoglio, e che tende a realizzare quella «Chiesa povera, in trincea, ospedale da campo», che si svuota di sé stessa, delle sue ricchezze e dei suoi privilegi per andare incontro agli ultimi. Una direzione pastorale per certi versi affine a quell’immagine di una Chiesa «all’opposizione» del sistema neo-capitalista che Pasolini auspicava già negli anni 70, quando scriveva: «La Chiesa potrebbe essere la guida, grandiosa ma non autoritaria, di tutti coloro che rifiutano il nuovo potere consumistico che è completamente irreligioso, violento e totalitario. È questo rifiuto che potrebbe simboleggiare la Chiesa, ritornando alle origini, cioè all’opposizione e alla rivolta».
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