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'Palla' passa a Sergio Costa, Ministro all'Ambiente

“Tevere da bere”, nessun Ente si vuole prendere la responsabilità

Dovrà essere il Ministro all’Ambiente Sergio Costa (M5S) a decidere se l’acqua del Tevere – uno dei fiumi più inquinati d’Europa –  potrà finire nei rubinetti di Roma e dei 111 comuni della provincia, ivi compresi tutti quelli dei Castelli Romani, più Ardea e Pomezia. Il generale dell’Arma ora prestato alla politica, o un Commissario di sua fiducia, dovrà predisporre un parere per concedere o meno ad Acea il diritto di avviare il suo discusso ‘potabilizzatore’. Parliamo dell’impianto industriale situato a Roma nord, XV Municipio-località Grottarossa, che dovrebbe succhiare dal ‘biondo Tevere’ (e tentare di ripulire) 500 litri di acqua al secondo per poi spedirla nei rubinetti di Roma e dintorni: una vicenda resa pubblica da il Caffè di Roma a luglio 2018.
Non ha raggiunto l’unanimità dei consensi la ‘Conferenza dei Servizi decisoria’, ossia il tavolo istituzionale convocato il 24 giugno scorso dalla Regione Lazio con lo scopo di concedere ad Acea – entro il termine del 28 settembre – il diritto di attingere acqua dal Tevere, una pratica che in gergo tecnico prende il nome di “grande derivazione di acqua pubblica”, per riutilizzarla a scopi potabili. Il via libera al ‘potabilizzatore’ sembrava poco più di una formalità, ma, contraddicendo ogni previsione, numerosi e importanti Enti pubblici hanno sottolineato alcune gravi mancanze e non hanno concesso il proprio parere positivo,  passando il cerino nelle mani del Ministro. Ma facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire l’intera vicenda.

L’APPROVAZIONE LAMPO
Il progetto del ‘potabilizzatore’ del Tevere è stato presentato da Acea alla Conferenza dei Sindaci di Roma e provincia a dicembre 2017 ed ha subito ottenuto il “sì” del Campidoglio, a cui è seguito nella primavera 2018 anche quello della Regione Lazio. Il “sì” della Regione è stata segnato però – a differenza di quanto accaduto in Campidoglio – da più di qualche mal di pancia tra dipendenti e dirigenti regionali, fortemente contrari all’ipotesi che l’acqua del Tevere venisse portata nei rubinetti di 4 milioni di cittadini. Sta di fatto che la struttura industriale dell’Acea è stata costruita tra giugno e novembre 2018, è costata 13 milioni di euro ed è stata inaugurata il 12 dicembre 2018 alla presenza solo della sindaca, Virginia Raggi, e dell’ex Amministratore di Acea, Stefano Donnarumma, ma non dei cittadini e della stampa. A novembre 2018, la Commissione regionale Ambiente, presieduta dal grillino Valerio Novelli, ha varato inoltre una piccola ma importantissima modifica al Piano di Tutela delle Acqua, la legge che disciplina l’intero settore idrico. Fino a quel momento, l’acqua dei fiumi regionali in cui finivano anche reflui industriali, come quella del Tevere, non poteva essere riutilizzata per fini potabili. La Commissione  regionale ha introdotto una piccola ma importantissima modifica che ora permette di farlo, anche se contro tale modifica pende un ricorso al Tar del Lazio promosso dalla Città Metropolitana di Roma. In sostanza il ‘potabilizzatore’ è stato approvato in soli 12 mesi – un tempo da record vista e considerata quella che è solitamente la velocità da lumaca della pubblica amministrazione – ma non è stato ancora mai avviato, nonostante siano trascorsi 21 mesi dalla sua inaugurazione.

21 MESI DI STOP
Nessuno, forse – i partiti, gli amministratori e i politici – vuole passare alla storia della città eterna per aver portato nei rubinetti di Roma e provincia l’acqua del Tevere. Questo lungo stop di 21 mesi è stato interrotto solo dall’ostinazione di Acea che, tra aprile e maggio 2020, ha avviato due grandi appalti da 3 milioni di euro per comprare i ‘carboni granulari’, ossia i filtri che dovrebbero almeno tentare di ripulire l’acqua del Tevere dai metalli pesanti, idrocarburi e microplastiche che vi galleggiano dentro: secondo gli esperti da noi consultati una ‘mission impossible’, visto che al momento non esistono filtri industriali in grado di ripulire completamente l’acqua da questi pericolosi inquinanti.

LA CRISI ISTITUZIONALE
Ma torniamo al tavolo istituzionale che si è chiuso il 28 settembre scorso: gli Enti pubblici erano chiamati a concedere il loro ultimo e decisivo “sì”. Ma la Regione Lazio-Direzione Lavori pubblici e Risorse Idriche, che guida la Conferenza, non ha concesso il proprio via libera, anzi ha chiesto ad Acea di sottoporre il proprio progetto al “parere di congruità tecnico-economica” e “all’autorizzazione sismica” del Genio Civile, la massima autorità in tema di progetti pubblici. Anche l’Autorità di Bacino del Tevere, l’Ente pubblico che sovrintende la gestione dell’intero corso d’acqua, non ha espresso il proprio ‘parere positivo obbligatorio’, visto che per problematiche così complesse non vale il principio del ‘silenzio assenso’, ma anzi ha sollevato varie e gravi problematiche che riguardano, tra le altre cose, anche i filtri che avranno il compito di ripulire l’acqua del Tevere, e chiesto l’intervento del Ministro Sergio Costa. Sono invece rimasti in silenzio, anche se chiamati ad esprimere un parere: l’Ispra – Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale – una costola del Ministero dell’Ambiente; l’Arpa Lazio, Agenzia Regionale di Protezione Ambientale; la Asl Roma1, la Città Metropolitana di Roma; e la Protezione Civile.

“SÌ” DI CAMPIDOGLIO E ASL
Due Enti pubblici, in Conferenza dei Servizi, hanno invece pronunciato il proprio “sì” al Tevere da bere, nonostante, come vedremo tra poco, le innumerevoli criticità igienico-sanitarie, ambientali e legali che incombono sul progetto. Il Comune di Roma – Dipartimento Sviluppo Infrastrutture – Opere Idrauliche: con l’ok degli ingegneri Fabrizio Milani e Fabiana Cambiaso e dell’architetta Emilia Quattrone e la Asl Roma 2 (area Roma nord) che l’8 luglio ha rilasciato il proprio parere favorevole, sottoscritto dal  dottor Stefano Marzano; parere rilasciato nonostante nel Tevere tra il 30 maggio e il 5 luglio si siano verificate anche due straordinarie morie di pesci. A patto che – ha poi specificato la Asl il 10 settembre, in un ulteriore e secondo parere – l’acqua del Tevere non superi, una volta immessa nell’acquedotto, il 25% di quella totale pompata in conduttura, riconoscendo implicitamente che quell’acqua proprio così pura non è e deve essere diluita.

PERDITE AL 44%
A Roma e dintorni si disperde il 44% dell’acqua immessa in conduttura (dati del Comune di Roma), una percentuale da terzo mondo. L’acqua sprecata è pari a circa 6mila litri al secondo. Basterebbe, quindi, recuperare solo il 9% dell’acqua dispersa nell’acquetoddo colabrodo per non aver più bisogno di utilizzare quella del Tevere. Eppure, anziché riparare la rete idrica, qualcuno in Acea e al Campidoglio ha pensato bene di utilizzare l’acqua di uno dei fiumi più inquinati d’Europa per dissetare i cittadini. Nei suoi 400 e più km di lunghezza, nel Tevere sversano 26 grandi industrie R.I.R., ossia a Rischio di Incidente Rilevante, tra le quali ne figurano alcune del settore militare, siderurgico, metallurgico, chimico, farmaceutico, di produzione e stoccaggio gas, distillerie e grandi industrie alimentari, di produzione di pesticidi, funghicidi e erbicidi (tra i quali di produzione del famigerato glifosato). Speriamo che il Ministro Sergio Costa ne tenga conto prima di esprimere il suo parere: l’alternativa a rischio zero esiste: non sprecare l’acqua purissima di sorgente, riparando subito le condutture, magari con l’aiuto di fondi ministeriali e regionali. Il nostro giornale ha scritto al Ministro Costa, spiegando la situazione e i dubbi.  Restiamo in attesa di una sua risposta.


ACEA ‘DIMENTICA’ I FILTRI
Nel corso del tavolo regionale che si è chiuso il 28 settembre scorso, l’Autorità di Bacino Tevere ha bacchettato i dirigenti Acea che, nel progetto del ‘potabilizzatore’ del Tevere, non hanno firmato la scheda-filtro e rilevato – sempre sui filtri – altre strane e pesanti “discrasie”. Il quesito sorge spontaneo: qualcuno in Acea teme che i filtri non riusciranno a ripulire l’acqua del Tevere?


 

08/10/2020
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