Standard & Poor’s, la più importante agenzia finanziaria Usa, è certa che il futuro prossimo di Roma sarà radioso, dopo il tonfo economico-finanziario legato ai tanti, tantissimi debiti del passato ancora almeno in parte da pagare, a cui si è aggiunta di recente anche la crisi sanitaria da Covid-19.
Tanto che è disposta a mettere nero su bianco la sua previsione ed a consegnarla ai mercati del cosiddetto ‘rating’, cioè del sistema di valutazione che permette di certificare il grado di affidabilità di società private ed Enti pubblici. «Crediamo – scrive l’agenzia finanziaria nel suo recente rapporto su Roma – che si sia ridotta la probabilità che Roma registri un ulteriore indebolimento della propria posizione finanziaria. Questo grazie al continuo sostegno da parte del governo centrale, alla ripresa economica e al risanamento delle relazioni finanziare con le società partecipate del Comune». Le proiezioni finanziarie di Roma, quindi, sono più che positive. «Roma – si legge ancora tra le carte – nel 2020 ha subito una recessione causata dal Covid-19, ma nel 2021 e nel 2022 ci aspettiamo una ripresa piuttosto forte».
RISCHI & INTERESSI
Gli analisti di Standard & Poor’s, più precisamente, hanno valutato il rischio d’insolvenza del Comune, ossia la probabilità che l’ente non riesca a sostenere e a ripagare tutti i debiti contratti. Rating – è appunto il termine tecnico – che non è altro che la misura del rischio assunto dagli investitori nel prestare denaro. Più basso è il rating, maggiori sono i rischi e, quindi, i rendimenti. E così, nel caso degli enti pubblici, tale valutazione incide sugli interessi, applicati al momento della sottoscrizione, sui titoli di debito piazzati sul mercato finanziario per coprire il proprio deficit e finanziare parte della spesa pubblica. Per le obbligazioni statali si parla appunto di titoli di Stato (Btp e Bot). Per i Comuni ci sono invece i Buoni ordinari comunali (Boc): un’alternativa ai mutui che però non è mai decollata per via degli elevati interessi. ‘City of Rome’ era il nome dei Boc lanciati da Veltroni dal 2003 al 2006 per un valore nominale di 1,4 miliardi di euro: il Campidoglio però, in compartecipazione con il Ministero dell’Economia, nel 2048, di miliardi dovrà restituirne 3,6, a causa di un tasso d’interesse fisso sul maxi-bond (un anno fa accollato allo Stato) pari ad oltre il 5% l’anno. Il rating aggiornato periodicamente da Standard & Poor’s, oltre ad indirizzare le quotazioni dei titoli nel mercato obbligazionario (in cui gli obbligazionisti possono rivendere i ‘buoni’ acquistati), offre soprattutto una fotografia sullo stato di salute dell’ente capitolino. La classe di valutazione per Roma capitale è rimasta la stessa: ‘BBB-’. Rating leggermente più basso di quello dei titoli del Tesoro (rating BBB) e, a ben vedere, appena un livello sopra i titoli ‘junk’ (‘spazzatura’), ad alto rischio.
TREND IN MIGLIORAMENTO
Ma a migliorare è l’outlook, ovvero il trend finanziario nel prossimo futuro: declassato a ‘negativo’ con lo scoppio della pandemia, ora S&P’s lo riporta a ‘stabile’. Sotto la lente d’ingrandimento dell’agenzia di rating sono finiti diversi fattori. In primis le risorse trasferite dal governo e i finanziamenti europei del Recovery Fund che dovrebbero prendere la strada della capitale. Iniezione di liquidità che si tradurrebbe in un «minor deficit» per l’ente. Ci sono poi, ricorda S&P’s, i «maggiori investimenti» messi a bilancio dall’amministrazione Raggi per il triennio 2021-2023: «425 milioni di euro l’anno a fronte dei 381 milioni del 2020». Rassicurazioni, inoltre, arrivano sul fronte delle società comunali: con l’ok alla ricapitalizzazione di Ama e con l’esito del concordato preventivo di Atac che sembra non essere in discussione, «per il momento si è ridotta la necessità di sostenere ulteriormente le aziende di rifiuti e trasporti della città».
«DEBITO SOSTENIBILE»
Sulle società pubbliche di Roma Capitale, sottolinea però il rapporto, «il controllo dell’ente resta piuttosto debole». Stesso rilievo mosso recentemente dalla Corte dei Conti. Un nervo scoperto che continua ad aprire dei buchi sui conti capitolini, minati da «passività potenziali ancora considerevoli», ma soprattutto da un «debito elevato» che nel prossimo triennio lieviterà a circa 1,3 miliardi. Senza contare il vecchio debito capitolino pre-2008 controllato dallo Stato: più o meno 8 miliardi di euro che, con la fine della gestione commissariale prevista a dicembre 2021, torneranno a gravare sul bilancio del Comune, anche se per la gran parte spalmati in quasi trent’anni (e coperti con una quota di contributo statale). «Ci aspettiamo – prevedono tuttavia gli analisti – che la liquidità di Roma rimanga stabile nel prossimo biennio e che l’ente continui a coprire senza difficoltà i costi del debito».