Una goccia di sangue prelevata grazie a una puntura sul dito, 8 minuti di attesa e da un macchinario grande quanto una scatola di scarpe compare uno scontrino con il risultato, positivo o negativo. Si tratta del Covid AFS1000, test sierologico rapido tramite prelievo capillare, validato dall’Università Tor Vergata e dall’Istituto Spallanzani. Dalla Cina, dove è stato realizzato dalla multinazionale Sichuan Xinhen Biological, passando per Roma: la distribuzione esclusiva in Italia è stata infatti ottenuta dalla Medica Group, proprietaria del Presidio sanitario Casilino, dove sono iniziate le prime dimostrazioni. Sperimentato nelle zone rosse di Nerola e Contigliano e al Nomentano Hospital, il kit diagnostico rileva la presenza nel sangue di due particolari tipi di anticorpi – le Sars-Cov2 immunoglobuline G e M – sprigionati dal sistema immunitario in risposta ad un’infezione da coronavirus. «Stiamo parlando di un test a immunofluorescenza – spiega in un video tutorial il dottor Giandominik Bossone del team Medica Group – con una specificità (ndr. la probabilità che un soggetto sano risulti negativo) pari al 99% e una sensibilità (ndr. la probabilità che un paziente infetto risulti positivo al test) pari al 93,3». Ottenuta la certificazione CE e l’iscrizione al Repertorio dei dispositivi medici commercializzati in Italia, è al via la distribuzione non direttamente al pubblico, fa sapere la Media Group, bensì a «strutture ospedaliere, presidi medici, reti associative ed aziende». La circolare della Regione Lazio emessa lo scorso 9 aprile, infatti, ha messo nero su bianco le linee guida per le strutture private che intendono erogare esami sul sangue per la diagnosi della Covid-19. La commissione scientifica presieduta dal dott. Francesco Vaia, direttore sanitario dello Spallanzani, ha stilato una relazione in cui elenca quattro tipi di test sierologici. Ci sono le cards a immunocromatografia, ossia il cosiddetto test rapido ‘fai-da-te’ ma meno preciso. I più affidabili, ma anche i più costosi, sono i metodi ‘Clia’ ed ‘Elisa’, che richiedono però un prelievo venoso e un tempo di attesa per il risultato di almeno 3 ore. Nel mezzo, c’è proprio il test a immunofluorescenza (fluorescenza POCT, per la precisione) proposto dal gruppo Medica, che – si legge nel documento – «è più performante delle Cards (ndr. l’altro tipo di test rapido), in quanto assicura la tracciabilità e la lettura oggettiva dei test nonché il trasferimento ad un sistema di raccolta dati in modo automatico». Non solo: l’AFS1000, oltre ad un «tempo di misurazione di 8 minuti», è «facilmente portatile per le piccole dimensioni» e «accetta campioni ogni 10 secondi». Insomma, «si tratta di una metodica che offre un buon compromesso tra le cards lateral flow e i kit Elisa e Clia in commercio», recita invece la relazione di validazione prodotta dall’equipe dell’Università Tor Vergata diretta dal prof. Sergio Bernardini, membro della commissione scientifica coordinata dalla Spallanzani, a cui ha preso parte anche la Direzione Salute della Regione Lazio. In particolar modo, dei quattro esami sul sangue quello a immunofluorescenza può essere «utile in strutture con piccola routine, RSA e ambulatori».
“Tracciare la circolazione del virus”
La task force di esperti targata Spallanzani-Policlinico Tor Vergata-Regione ammette che i test sul sangue «sono molti importanti nella ricerca e nella valutazione epidemiologica della circolazione virale». Tuttavia il comitato tecnico, in linea con le direttive del ministero della Salute e dell’Oms, ha messo in guardia sul fatto che gli esami sierologici «non possono, allo stato attuale dell’evoluzione tecnologica, sostituire il test molecolare su tampone nell’identificazione dei soggetti che hanno contratto l’infezione in fase precoce». Questo perché le IgM, i primi anticorpi a comparire, vengono sprigionate solo alcuni giorni dopo l’inizio dell’infezione. Certo, saranno utili per valutare l’immunizzazione della popolazione, soprattutto in relazione alle IgG, che invece compaiono tardivamente e rappresentano la ‘memoria’ immunitaria per una seconda infezione. Anche se per il coronavirus – continua la relazione – «non è ancora noto se la presenza delle IgG garantisca la protezione dalla reinfezione, né si conosce la durata del tempo della protezione»