Gli ultimi dati sul mondo imprenditoriale romano parlano di 4000 attività chiuse negli ultimi 10 anni. L’anno appena passato com’è stato e cosa vi aspettate per questo 2020?
“Il 2019 non è stato un anno particolarmente brillante, il settore dell’artigianato è cresciuto pochissimo anche se ci sono alcuni dati positivi, come la crescita delle imprese nel territorio romano e laziale”.
Secondo lei è un dato indicativo di crescita della ricchezza e del lavoro nel territorio?
“È un discorso molto ampio, secondo me sì, se poi un’associazione come la nostra, con l’aiuto dell’ente, riesce a dare un adeguato supporto. La Regione Lazio è molto forte ad esempio sull’avvio delle start up e anche i bandi della Camera di Commercio sono molto interessanti da questo punto di vista. La qualità di un’associazione sta qui: su quanto siamo in grado di accompagnare l’imprenditore nel momento in cui nasce l’impresa e quindi nell’accesso al credito, nel supporto di servizio amministrativo, nel rapporto con l’elemento istituzionale, nel supporto nei servizi contrattuali”.
I dati dicono che dopo un anno molte nuove imprese entrano in difficoltà o muoiono.
“Questo purtroppo è vero, per questo le ripeto che la nostra credibilità si gioca lì, se riusciamo a coccolare l’impresa, a costruire intorno a lei un’azione di sistema che lo vada a proteggere nel mercato e nelle relazioni con le istituzioni, che lo renda in grado di esprimere la migliore performance possibile. Per me l’imprenditore deve aprire la saracinesca e fare il suo lavoro, tutte le altre pratiche le dobbiamo risolvere noi”.
Io rimango ancora sulle start up. Perché chi inizia non fa degli studi di fattibilità?
“È molto difficile che un nuovo imprenditore chieda uno studio fatto bene, l’imprenditore cerca di risparmiare e si rivolge al commercialista per un business plan molto semplice, manca proprio la cultura, al nord è diverso”.
Qual è il problema principale per chi inizia?
“Sicuramente è la liquidità e bisognerebbe trovare un’alternativa al credito bancario, magari con modalità innovative. Questo è un altro dei temi in cui un’associazione di categoria deve intervenire con forza. In altri paesi i fondi di rischio in capitali di impresa sono molto più presenti che nel nostro e la Regione potrebbe fare di più in questo senso”.
Come si fa a rilanciare nel territorio romano un po’ di scuole di formazione invece che assistere all’apertura dell’ennesima università?
“È chiaro che il sistema formativo deve poter intercettare il fabbisogno delle imprese. Anche qui è importante creare sistema, e cioè fare in modo che alla fine di un percorso scolastico, anche di successo, alcune imprese riservino dei progetti, dei laboratori ai giovani che si affacciano nel mondo del lavoro. Poi abbiamo sicuramente anche delle eccellenze universitarie a Roma che riescono a creare profili realmente spendibili nel mondo del lavoro. Noi siamo prontissimi a dialogare con tutti e a offrire il nostro aiuto”.
E le scuole professionalizzanti?
“Sono quelle che mancano, vanno recuperati i mestieri cosiddetti popolari attraverso percorsi di formazione di secondo livello. E noi come associazione dobbiamo essere connettori tra offerta del mondo formativo e domanda del mondo delle imprese, a tutti i livelli, per creare i giusti presupposti, in base alle esigenze e alle specificità del nostro territorio. Dire che dobbiamo sederci a un tavolo oppure organizzare un convegno non serve a molto: serve concretezza e un percorso condiviso fin dall’inizio, partendo da Ministero e poi Regione e Comune”.
Voi che cosa chiedete a questa amministrazione?
“Premetto che noi abbiamo buoni rapporti con tutti, la Regione è sicuramente molto sensibile al nostro mondo e devo dire che nell’ultimo anno anche il Comune si è avvicinato. Abbiamo richieste semplici: prima di tutto semplificare il rapporto tra imprese e Amministrazione Capitolina in relazione ai procedimenti amministrativi e alla fruizione dei servizi pubblici. Tale scelta dovrebbe avvenire, ad esempio, attraverso la definizione di uno specifico regolamento consiliare che dia pieno riconoscimento agli strumenti già esistenti come i CSA (Centri servizi per l’Artigianato) e i CAT (Centri Assistenza Tecnica) e a quelli in fase di avvio come l’Agenzia delle Imprese. Sarebbe giusto anche un’ulteriore riduzione dell’aliquota per gli immobili dove viene esercitata un’attività artigiana, di commercio di vicinato o una bottega storica, oltre a una riduzione della Tariffa sui rifiuti, mediante l’utilizzo di risorse derivanti dalla lotta all’evasione. Vorremmo anche rivedere la tassa sull’occupazione di suolo pubblico, ma in generale chiediamo una riorganizzazione e un efficientamento della macchina amministrativa in modo che non ci siano disparità tra Municipi”.
E invece cosa bisogna fare per rilanciare la città?
“Abbiamo alcune proposte come la definizione di un piano di interventi per il rilancio della città attraverso una nuova programmazione che privilegi il recupero, la riqualificazione e la rigenerazione urbana (le tre ‘R’) a scapito del consumo indiscriminato del territorio. Accanto a questo bisogna elaborare specifici piani di riqualificazione dei contesti urbani capaci di armonizzare le differenti funzioni residenziali, produttive e di intrattenimento. E quindi sostegno all’efficientamento energetico e all’ammodernamento del patrimonio edilizio, ulteriori aiuti per l’innovazione digitale, la centralizzazione dei servizi e la svolta green. Chiediamo naturalmente che vengano realizzate infrastrutture digitali, come la banda larga, e che ci sia una completa digitalizzazione delle funzioni amministrative, altrimenti della banda larga non sappiamo che farcene. Tutto questo sarà possibile anche grazie al coinvolgimento dei sistemi territoriali associativi e aggregativi per garantire decoro, sicurezza e vivibilità”.
Il futuro del commercio è ancora nei grandi centri alla periferia della città?
“Credo sia finito questo trend, perlomeno Roma è satura e d’altronde nel Piano Regolatore si dice chiaramente che bisogna superare la proliferazione di grandi centri commerciali, un modello di commercio e di vendita che consuma territorio, incentiva l’utilizzo del trasporto privato e contribuisce alla crisi dei negozi di prossimità, definendo semmai con il Piano del commercio precisi e stringenti indici qualitativi nel caso in cui se ne volessero costruire altri, sostenendo comunque i progetti di accorpamento e riutilizzo degli immobili esistenti per un commercio di qualità. Detto questo credo che ci sia ancora spazio per i negozi di strada, ma bisogna inserirli in un sistema che funziona e che li protegga, valorizzandone anche l’aspetto sociale”.
L’artigianato artistico sopravviverà?
“Noi abbiamo in mente la creazione di una Cittadella dell’Artigianato che possa promuovere le attività artistiche e tradizionali e anche i luoghi dell’artigianato romano, un centro di eccellenza sotto il profilo dell’innovazione e della ricerca e anche nel campo della formazione e quindi della trasmissione di saperi alle giovani generazioni, magari rilanciando il sistema dell’artigianato artistico romano delle Scuole di Arti e Mestieri. Per creare un circuito virtuoso bisogna favorire l’insediamento e la permanenza nei quartieri di attività artigianali manifatturiere e di servizio che si rivolgono ai mercati di prossimità, come le officine meccaniche, i laboratori di restauro, le falegnamerie, gli idraulici e gli elettricisti e poi bisogna combattere senza sosta la produzione e la vendita dei prodotti contraffatti”.