Lo scontro-confronto tra la cultura araba e quella occidentale, con le sue basi greco-romane e giudaico-cristiane, è un tema attualissimo oggi sui giornali e nelle librerie, proprio perché diviene continuamente carne nelle strade delle nostre città, e diviene vita reale delle persone concrete nel quotidiano del nostro territorio. Il tema del confronto tra le civiltà, calato nel concreto delle strade lungo le quali questo dialogo è avvenuto per secoli, è proprio il cuore pulsante della mostra kolossal “Roads of Arabia”, che giovedì 28 novembre è approdata nelle aule in laterizio romano delle Terme di Diocleziano, coinvolgendo Roma come sedicesima tappa di un tour mondiale vastissimo. La mostra, giunta a Roma grazie all’impegno congiunto del nostro Ministero per i Beni e le Attività culturali e del Ministero della Cultura dell’Arabia Saudita, realizzata grazie agli sponsor Saudi Aramco e Alda Fendi, si prefigge come obbiettivo quello di raccontare, con l’esposizione di oltre 450 reperti archeologici provenienti da aree ed epoche diverse, la storia della penisola arabica dalla preistoria alla formazione del Regno Saudita. In questo racconto l’esposizione segue e mappa le antichissime vie carovaniere e i principali snodi commerciali delle strade d’Arabia, mostrando come la penisola arabica fosse vitalmente interconnessa con l’India, con la Mesopotamia e con la stessa Roma già in tempi antichissimi della sua storia. La mostra evidenzia in questo modo come alla base dell’odierno non sempre facile dialogo tra la cultura araba e quella occidentale, vi siano in realtà millenni di continui scambi che hanno accompagnato entrambe le culture nella loro formazione, influenzandone il completo arco del loro sviluppo. Tra i reperti esposti si trovano manufatti preziosi, statue imponenti, antichissimi documenti, tutti provenienti da scavi archeologici estremamente significativi, come quelli nelle aree patrimonio dell’Unesco “Camel Site” a Tayma e Tarut, fino alle grandi oasi nel deserto come Tayma, Qurrayah, Ayn Jawan, Dedan, e alle antichissime città carovaniere come Qaryat al-Faw. La mostra copre, inoltre, un vasto arco di tempo, esponendo testimonianze provenienti dalle varie fasi della storia arabica, dalla preistoria al regno dei Nabatei fino al periodo islamico. Vi si trovano esposti oggetti di uso comune, monili preziosi di lusso, o reperti legati a importanti ritualità sacre, come la maschera funeraria in oro proveniente dal museo di Riyad, risalente al I secolo dopo Cristo. Ci sono steli con incisioni molto antiche, stoffe pregiate lavorate con sapienze raffinate, statue imponenti come i due busti virili del VII secolo a.C., o l’antichissima stele in arenaria raffigurante un uomo probabilmente in preghiera risalente al IV millennio a.C. Tra i reperti più significativi spicca ancora il frammento con testa virile e iscrizione in sudarabico antico, che probabilmente raffigura una scena conviviale, databile tra I e II secolo d.C. Inoltre alcune recenti scoperte della missione archeologica italiana dell’Università Orientale di Napoli compiute sul sito dell’antica Adumatu, hanno approfondito e gettato nuova luce sul passato storico e preistorico della penisola arabica, mostrando come essa fosse già in epoche remote innervata di lunghissime vie di comunicazione commerciale, come l’antica via dell’incenso, che la mostra documenta e permette di esplorare a fondo. Questi lunghi percorsi e snodi commerciali attraversavano e collegavano tutto il paese, e al contempo lo proiettavano fuori di sé, tessendo una vastissima rete di contatti tra la penisola araba e la Mesopotamia, l’Egitto, fino ad arrivare alla stessa Roma e al mondo greco, creando proprio nel concreto di queste strade, nello scambio tra persone reali, una commistione impressionante tra credenze, culture, tradizioni filosofiche, sapienze spirituali, mediche e politiche. Un’idea, seppur romanzata, di come dovessero essere queste vie carovaniere, viene ben documentata dai quattro romanzi di Thomas Mann “Giuseppe e i suoi fratelli”, in cui il premio Nobel tedesco, volendo scrivere un romanzo che rendesse giustizia allo spirito ebraico proprio durante gli anni bui del nazismo, deve per forza mostrarcele e raccontarcele: se, infatti, è mai davvero esistito storicamente il giovane figlio di Giacobbe, allora, con tutta probabilità, gli Ismaeliti a cui i fratelli lo vendettero come schiavo lo portarono in Egitto proprio percorrendo queste strade.
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