Tante competenze amministrative, poche risorse finanziarie, la Corte costituzionale col fiato sul collo, un impianto istituzionale da ripensare. La Città Metropolitana di Roma Capitale vive un momento delicato. Una vita non facile per Palazzo Valentini, forse alleggerita dall’arrivo di milioni di euro dei fondi Pnrr, ma che non possono rappresentare la soluzione definitiva ad un problema che parte dalla base: l’ex provincia di Roma non incide come il legislatore avrebbe immaginato e andrebbe riformata. Lo pensano in tanti ma sinora poco si è fatto in tal senso.
LA RIFORMA DELRIO E CRITICITÀ
La legge 56 del 2014, detta anche ‘legge Delrio’, ha dettato una riforma dell’ordinamento delle province, prevedendo l’istituzione delle città metropolitane e la ridefinizione delle funzioni delle province e delle città metropolitane, quali “enti di area vasta”. Tale disciplina è stata qualificata come transitoria, nell’attesa della riforma costituzionale del Titolo V che prevedeva l’abrogazione delle province. L’esito referendario negativo del dicembre 2016, che ha però determinato l’interruzione del processo di riforma avviato con la legge n. 56/2014 e il mantenimento dell’ente provincia, ha di fatto cristallizzato una condizione di incertezza sia degli assetti istituzionali che degli aspetti finanziari degli enti in questione. Venuto meno il progetto di revisione costituzionale, dunque, si è aperto il dibattito sull’opportunità di un nuovo intervento legislativo. In tale contesto, il decreto legge n. 91 del 2018 ha disposto l’istituzione di un tavolo tecnico-politico, presso la Conferenza Stato-città ed autonomie locali, per la redazione di linee guida finalizzate ad una serie di obiettivi, tra i quali l’avvio di un percorso di revisione organica della disciplina in materia di ordinamento delle province e delle città metropolitane: percorso ad oggi senza soluzione apparente.
La Città Metropolitana ha una vocazione forte di coordinamento e programmazione che di fatto non svolge
ELEZIONI DI SINDACO E CONSIGLIERI METROPOLITANI
C’è poi un’altra questione spinosa che riguarda Palazzo Valentini ma non solo: l’attuale disciplina sui sindaci delle Città metropolitane sembrerebbe in contrasto con il principio di uguaglianza del voto e pregiudicherebbe la responsabilità politica del vertice dell’ente nei confronti degli elettori. Spetta però al Legislatore, e non alla Corte costituzionale, introdurre norme che assicurino ai cittadini la possibilità di eleggere, in via diretta o indiretta, i sindaci delle Città metropolitane. È quanto traspare nella sentenza n. 240 depositata a dicembre 2021 con cui la Corte costituzionale si è pronunciata sulla riforma degli enti di area vasta varata nel 2014 con la legge Delrio, secondo cui il sindaco delle Città metropolitane non è una carica elettiva poiché si identifica automaticamente con il sindaco del Comune capoluogo, come accade ad esempio per Roma, a differenza del presidente della Provincia, eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali del territorio. E c’è poi il capitolo della elezione dei consiglieri metropolitani, detta di secondo livello e non scelti direttamente dai cittadini, come avviene invece per Regione e comuni: modalità ammessa assolutamente per legge, sia chiaro, ma che molti vorrebbero fosse modificata.
RISORSE FINANZIARIE
Da non sottovalutare il tema delle risorse finanziarie; solo con un sistema di finanziamento adeguato le Città metropolitane potranno essere in grado di realizzare quegli interventi incisivi per lo sviluppo del territorio. “Al momento – spiega l’ex consigliere metropolitano di Roma Capitale Carlo Colizza – l’esercizio delle funzioni assegnate non è coperto da risorse proprie e certe, si vive di trasferimenti statali e, quindi, di rapporti politici non uniformi. Altro tema riguarda l’identità della Città metropolitana come istituzione il cui governo è incentrato sui Comuni del suo territorio che ne costituiscono l’elemento fondativo, avendo il legislatore assegnato la titolarità fondamentale della pianificazione strategica considerata come documento di governo e programmazione dello sviluppo degli ambiti locali. Deve poi essere precisato l’elenco delle funzioni fondamentali attribuite alle Città metropolitane soprattutto in quelle materie che appaiono oggi troppo generiche; in tale ambito deve essere promossa l’esclusiva competenza delle Città metropolitane nella gestione strategica dei servizi di rete in un’ottica di massima semplificazione ed eliminazione di duplicazioni; vanno quindi eliminati quei soggetti ed organismi che svolgono competenze nelle materie rientranti nelle funzioni fondamentali che diversamente rischiano di generare – continua Colizza – sovrapposizioni di competenze, duplicazioni di costi ed inefficienze gestionali. Sempre in questa direzione occorre rafforzare il principio di delega delle funzioni da parte delle Regioni valorizzando la connessione con gli strumenti di programmazione territoriale a livello comunale. Le funzioni delegate devono essere concordate con le Regioni e soprattutto sostenute con risorse umane e finanziare adeguate e stabili nel tempo, preventivamente concertate e condivise nelle sedi istituzionali previste”. La Città metropolitana avrebbe quindi una vocazione forte di coordinamento, programmazione e gestione di servizi di area vasta ma che di fatto non svolge: “il maggior limite nell’esercizio di questo ruolo è costituito dall’assetto istituzionale disegnato dalla Legge Delrio, che ha generato risultati diversi su territori metropolitani molto disomogenei tra loro per collocazione, conformità territoriale, condizioni economiche ed assetti politici”, chiosa Colizza.