Quale argomento racconta la storia per la quale è stata premiata?
Il concorso Letterario nazionale di Spazi all’Arte APS, giunto alla sua ottava edizione, lo scorso 2021 ha tratto ispirazione dalle celebrazioni per Dante Alighieri, fornendo la traccia “Amore non è violenza”. Questo tema mi ha immediatamente riportato alla mente quel dolore nascosto, che mia nonna ha sempre custodito e ho deciso di raccontarlo attraverso un episodio realmente accaduto. La storia di mia nonna oggi, è una pagina di un archivio storico esistente in Germania: l’archivio Aroslen, che, pur nascendo per raccogliere dati e informazioni sulle persecuzioni naziste e l’Olocausto, sorprendentemente custodisce anche le storie di chi, come gli esuli fiumani, giuliani e dalmati sono stati vittime della storia. Vengono raccolte le schede degli “ospiti” dei centri di raccolta rifugiati, gestiti dall’I.R.O, (International Refugee Organization, nata per contrastare il drammatico problema legato ai rifugiati, causato dalla seconda guerra mondiale).
Nel suo racconto lei affronta il tema della violenza su una donna da una nuova prospettiva, quello dell’abbandono forzato della propria terra d’origine. Quanto grande ha percepito il dolore delle persone sradicate dal luogo di nascita?
Si, affronto una triplice violenza, subita da una piccola forte donna. Una violenza pubblica e privata, uno strappo dalle sue radici, dalla sua bambina costretta a crescere nei collegi lontano da lei, nell’impossibilità di tenerla con sé nei campi profughi, oltre all’abbandono del marito, storia ahimè comune a tante donne. Il dolore dello sradicamento dalla propria terra non è descrivibile, anche io, pur essendo nata a Roma, sento lo strappo da radici lontane che non è possibile colmare in alcun modo.
Come veniva vissuto dalla sua famiglia il ricordo dell’abbandono della terra natia?
Dobbiamo innanzitutto cambiare la coniugazione temporale del verbo: il ricordo non veniva vissuto, ma è ancora oggi vivo e straziante.
Un dolore portato sempre con estrema dignità, in rispettoso silenzio.
Come vive il giorno del ricordo?
Io personalmente lo vivo come un riacutizzarsi di quella sofferenza che ancora oggi leggo negli occhi dei miei cari, e provo sulla mia stessa pelle come una cicatrice, pur raccogliendo con orgoglio quanto oggi riconosciuto.
Cosa ne pensa dei contrasti che ogni anno vengono a galla quando viene celebrato il giorno del ricordo?
Purtroppo penso che la storia non insegni nulla agli uomini e che le ingiustizie e i drammi del nostro passato, non dovrebbero avere colore politico, razza o religione.
Marco Orlando
La storia.
L’AMORE NON E’ VIOLENZA – TRE VOLTE AMORE, TRE VOLTE VIOLENZA
Paola Gaspardis
Una serata noiosa, un dito che fa scorrere lo schermo inanimato del cellulare. Lo sguardo si perde tra le parole che scorrono sullo display, fino a inciampare in un titolo complicato: “Arolsen Archives”, dedicato alle vittime del nazismo, un archivio on line in cui sorprendentemente non si trovano solo i perseguitati dal nazionalsocialismo, ma anche altre vittime di persecuzioni. Mai avrei pensato di trovarvi mia nonna, Fedora, quella donna minuta, ma dura e tagliente come le pietre del Carso, terra che le aveva dato i natali. Inizia così, il mio viaggio, nelle pieghe di quella notte fino a pochi minuti prima piena di noia e ora inondata di lacrime. Quella storia mi era nota, certo, vissuta sulle melodie di canzoni antiche come “parlami d’amore Mariù” cantata tra le lacrime che le rigavano il viso bello, ma stanco, in cerca di quell’amore immenso che lei aveva donato e che le era stato restituito in forma di violenza. E proprio con violenza che mi è arrivato il pugno allo stomaco, quando quella storia privata l’ho letta come uno spettatore qualsiasi in un archivio pubblico.
Lì c’è mia nonna, la sua storia, la sofferenza, la sfortuna, ma anche la forza e tutta la sua dignità. Su quel foglio ingiallito leggo “abbandonata dal marito, molto più giovane di lei, parla italiano, croato, ha una figlia piccola..” Abbandonata dal marito non proprio, ma forse di fronte a quel sergente americano dell’IRO nel campo profughi di Servigliano, era l’unica spiegazione che poteva permettersi. Posso solo provare ad immaginare quanto timore potesse esercitare quell’americano in divisa, su quella piccola donna sola, che niente più del fardello di dover salvare la sua bambina ormai, aveva con sé. Aveva dovuto abbandonare la sua terra, il suo lavoro, la sua casa. Quanto amore aveva per la sua città, Fiume, e quanta violenza la Storia le aveva inferto, strappandola via, lei con la sua bambina e altri 350.000 esuli.
L’amore non dovrebbe essere violenza, eppure su quella donna si era scagliata con una forza devastante, che le ha lasciato i segni delle metaforiche frustate fino a quell’ultimo respiro a 98 anni, segnati dal dolore e dall’amore. Violenza subita nello strappo del suo tricolore che avvolgeva la sua terra, violenza dal quel marito che pur avendole dato una figlia, non rispettava quel patto d’amore conducendo una doppia vita accanto all’amante, per poi scappare illegalmente e abbandonarla tra le macerie di una guerra appena passata e le persecuzioni in atto, a guerra finita. Ebbene, una terza violenza si affianca al suo amore: lo strappo violento, irrimarginabile, dalla sua bambina dai biondi boccoli che pur di vederla crescere sana, nutrita e al caldo, cosa impossibile negli innumerevoli campi profughi circondati dal filo spinato, che deve mettere su un treno alla volta del collegio, per dieci lunghissimi anni.
Tre volte amore, tre volte violenza e questo, un essere umano non può sopportarlo, il suo cuore si spezza e il viso si riga di lacrime sulle note di “parlami d’amore Mariù” giusto lei, forse, poteva parlargliene.