Il sindaco di Roma Roberto Gualtieri ha promesso di ripulire la città entro Natale, dichiarando guerra alla sporcizia e al degrado in strada. Ma sono due i nodi da sciogliere, prima di procedere spiditi verso l’obiettivo, ad avviso di chi scrive. Prima di tutto, sarà necessario individuare l’esercito che sia in grado di combatterla, questa battaglia per ‘Roma pulita’, svuotando i bidoni e spazzando le strade, in centro e periferia, ogni giorno. In secondo luogo, manca anche un Piano per dotare la Capitale di una strategia più ampia nella gestione del ciclo del pattume, strategia che è evidentemente mancata negli ultimi 5 anni di gestione grillina. Ma andiamo per gradi.
PERSONALE E MEZZI
Il primo problema, come accennato in apertura, sarà il confronto con gli agguerriti sindacati di Ama, che da tempo lamentano gravi carenze di personale. Gli addetti allo spazzamento e raccolta, così riporta il più recente piano industriale di Ama, sono 4.195. Ma da questo totale vanno sottratti i ‘parzialmente idonei’ al servizio, circa 1.500 persone, che cioè non svolgono tutte le attività previste in strada, specie in emergenza, quando diventa dominante la raccolta manuale. E poi ci sono i ‘fuoriusciti’ dalla categoria per concorso, ossia i promossi al grado superiore, con gli ultimi ordini di servizio, altre 162 persone. Insomma, a conti fatti, i netturbini ‘abili’, ovvero gli idonei totali sono 2.533. È vero che Ama ha annunciato i rinforzi, in tutto 188 operatori ecologici: un primo gruppo di 88, dovrebbe iniziare a breve, per gli altri 100, chissà… E comunque, avvisano già i sindacati, per inquadramento contrattuale potranno effettuare la spazzatura, ma non la raccolta, non saranno quindi considerati ‘idonei’ a tutti i servizi. Poi c’è anche la carenza dei mezzi, parliamo dei camioncini rossi che dovrebbero scorrazzare in giro per i quartieri: la Cgil ricorda che “il 60% sono fermi”, guasti o comunque fermi a fare la muffa nei depositi.
Altra complicazione, eredità dell’ormai ex amministratore unico Stefano Zaghis che s’è dimesso a fine ottobre, sono i concorsi e quindi gli scatti di carriera che continuano a togliere risorse al gruppo di strada, che invece secondo tutti i sindacati andrebbe rinforzato.
SERVE UN PIANO AMBIZIOSO PER IL PORTA A PORTA
Passiamo al secondo problema: è un dato di fatto che il Porta a porta, la modalità di raccolta domiciliare del pattume urbano, è sempre meno presente nelle vie e piazze di Roma. Dopo Ostia, Torrino, Settebagni e Colli Aniene, anche nel quartiere Cecchignola, zona sud della Capitale, sono progressivamente scomparsi i bidoncini della raccolta differenziata e ricomparsi i grossi cassonetti stradali. L’arretramento del Porta a porta del resto è confermano dai dati resi pubblici di recente dall’Agenzia per il Controllo e la qualità dei Servizi di Roma, una specie di costola del Campidoglio. Il report pubblico è spietato: la raccolta differenziata a Roma è passata dal 26% del 2012 al 41% del 2015. E dal 2016, senza investimenti adeguati e senza volontà politica, la raccolta differenziata non è praticamente cresciuta, attestandosi intorno al 43%, mentre il limite minimo di legge fissato è il 65%.
IL PORTA A PORTA CREA LAVORO E RICCHEZZA
Eppure gli studi epidemiologici commissionati dalla Regione Lazio ai medici-epidemiologi del Sistema Sanitario Nazionale (www.eralazio.it) parlano chiaro: nel raggio di 7 km in linea d’aria dalle discariche, dai TMB (i frullatori per rifiuti indifferenziati) e dagli inceneritori regionali, ossia nei centri in cui si trattano i rifiuti indifferenziati, si muore, ci si ammala e ricovera molto più che altrove.
Il Porta a porta costituisce l’unica modalità di gestione del pattume urbano, quindi finalizzata alla chiusura del ciclo dei rifiuti, rispettosa della salute umana e dell’ambiente. Inoltre, il Porta a porta crea lavoro, visto che necessità di più personale e mezzi dedicati, e crea anche più ricchezza, visto che può contare anche sugli introiti ottenuti dalla vendita delle materie prime differenziate: carta, plastica, legno, etc, abbassando così l’importo delle tasse sull’immondizia (la famosa Tari) che ogni romano deve pagare. Eppure, a dispetto di ogni argomentazione razionale, il flop del Porta a porta a Roma fino ad oggi è totale. Il sindaco Gualtieri e la sua Giunta saranno chiamati a dare una svolta vera all’intero settore.
L’INDIFFERENZIATO FA COMODO SOLO AI GRANDI SIGNORI DEI RIFIUTI
Gli unici a gioire dell’arretramento del Porta a porta nella Capitale sono i grandi signori dei rifiuti che continuano a fare soldi con discariche, Tmb e inceneritori. A cominciare dal Gruppo riconducibile all’imprenditore del settore Manlio Cerroni che dal 2 agosto scorso sta seppellendo i rifiuti indifferenziati (un’enorme quantità d’immondizia che Roma non riesce a differenziare) nella discarica di Albano, ai Castelli Romani, alla ‘modica’ cifra di 90 euro per singola tonnellata. Mentre chi continua a rimetterci sono solo Enti pubblici e cittadini: l’Ama, per cercare di scongiurare il suo fallimento, è stata costretta ad approvare un aumento di capitale da 100 milioni di euro, un conto che pagheranno i cittadini romani con la prossima bolletta dei rifiuti, già ora tra le più salate d’Italia.