Un ‘corridoio verde’ sta prendendo forma tra le province di Roma e Latina. Già abbraccia una zona magica ricadente interamente nel IX municipio di Roma, quella della Solforata, Zolforata ad essere precisi, meglio nota come Solfatara, ricompresa all’interno della riserva naturale di Decima Malafede. Un’area naturalistica estremamente suggestiva con la presenza di bacini d’acqua dalle dimensioni variabili che per motivi diversi assumono particolari colorazioni. Ricomprende anche 2mila ettari tra Ardea e Pomezia e 1400 ettari appartenenti ad alcuni comuni dei Castelli Romani (Albano, Marino e Castel Gandolfo). Ma tale ‘corridoio verde’ potrebbe ‘annettere’ presto, forse, anche un ‘pezzo’ di Aprilia (provincia di Latina): la consigliera regionale nonché neo eletta presidente della Commissione Cultura e Turismo del Lazio ha presentato una proposta di legge che chiede esattamente questo, l’istituzione di un grande ‘Corridoio verde’ che colleghi la Capitale all’area nord-pontino. Ma torniamo alla Solfatara.
I LAGHETTI COLORATI
«L’area dei laghetti colorati lambisce il territorio gestito da Roma Natura della Regione Lazio anche se è caratterizzata dalla presenza di proprietà private – spiega la guida ambientale Giancarlo Conte –. Qui sono presenti quattro laghetti, due di questi risentono nella portata durante la stagione secca. Il più grande, noto come laghetto degli Innamorati, è un’ex cava; il secondo, formatosi dal movimento tellurico, è abbastanza esteso ed è il bacino chiamato Vermiglio; gli altri, il bianco ed il giallo sono prettamente meteorici. Anche questi ultimi, pur risentendo in maniera importante della scarsità di precipitazioni durante il periodo caldo, sono sempre individuabili e tra loro se ne può distinguere un altro che comunque risulta effimero. Ogni lago ha una situazione a sé stante per la quale assume una colorazione caratteristica: il lago degli Innamorati è chiamato “rosso” per via del manifestarsi di fenomeni naturali durante la stagione estiva, il lago bianco deve il colore delle sue acque al luogo calcareo e sulfureo, il lago giallo gode del riflesso della parete di zolfo che lo lambisce ed il lago vermiglio ha all’interno dei materiali ferrosi che conferiscono la colorazione tipica della ruggine. L’acqua è puramente sorgiva e meteorica mentre l’odore sulfureo è legato ai gas che provengono dal terreno (solforate n.d.r.) quale propaggine a sud del vulcano laziale».
DALL’ORACOLO ALLO SVILUPPO INDUSTRIALE
Nel recente passato la zona ha avuto un’importate valenza economica con i giacimenti estrattivi di pozzolana, zolfo e tufo; abbandonati con il progresso dei tempi. Non molto lontano dai laghetti è presente la grotta del Fauno, luogo leggendario addirittura riconducibile ai racconti di Virgilio nell’Eneide, con il re Latino che si recava nella grotta del padre Fauno per consultarne l’oracolo. Secondo il racconto proprio qui Latino apprese che la figlia Lavinia avrebbe sposato un eroe straniero: Enea. Della grotta del Fauno si parla anche in una relazione del 2010, pubblicata sul sito dell’ISPRA, che cita la presenza di una sorgente di acqua sulfurea all’interno della cavità. Inoltre, secondo la leggenda, i fedeli devoti al culto di Fauno, antica divinità venerata sulla sommità del Monte Albano, si recavano in pellegrinaggio alla grotta e dopo aver sacrificato piccoli animali, si addormentavano entrando così a contatto coi vapori emanati dalle sue acque. Solo dopo essere caduti in un “sonno profondo”, ricevevano risposta alle loro domande in sogno, direttamente dal dio. Sempre Virgilio narra che la grotta in questione era sormontata da un bosco sacro, un lucus, ovvero dalla leggendaria selva Albunea. Oggi il sito risulta recintato, all’interno di una proprietà privata.
UN TESORO INACCESSIBILE, PRIGIONIERO DI SÉ STESSO
Durante il lockdown dell’ultimo anno l’area dei laghetti ha attirato l’interesse di tanti romani incuriositi dalla zona per un’eventuale gita fuori porta o attività all’aria aperta. Inoltre «c’è molto interesse per valorizzare questa porzione di territorio anche da parte di diverse associazioni locali», dice Alessandra Tallarico, presidente della commissione scuola, cultura, turismo e sport del IX Municipio, anche se i margini di fruizione restano esigui. «Quest’area è inserita all’interno della riserva naturale di Decima Malafede, protetta con un regime molto rigido di tutela con la presenza da solfobatteri nei bacini d’acqua che escludono altre forme di vita a causa delle imponenti emissioni di gas – spiega l’assessore all’ambiente del municipio Marco Antonini –. Ma la caratteristica più preziosa dell’area risiede nella presenza dell’Agrostis monteluccii, una rarissima pianta erbacea che cresce in prossimità delle zone sulfuree. Si tratta di un endemismo italiano e presente in pochissimi altri luoghi che si contano sulla punta delle dita di una mano. Questa pianta oggi è a rischio per l’eccessiva frequentazione che peraltro qui è vietata. La zona infatti è sottoposta a regime di tutela in quanto all’interno della riserva di Decima Malafede; inoltre è interamente di natura privata e quindi gli accessi dovrebbero avvenire con il consenso dei proprietari (anche per un discorso di responsabilità in caso di infortuni); e ancora, va considerato che è mappata per le emissioni di 2400 tonnellate/ora di anidride solforosa, gas tutt’altro che salubre per le persone». Porta chiusa alla fruizione quindi? Non del tutto, perché secondo Antonini «l’area potrebbe essere visitabile in alcune giornate con condizioni climatiche favorevoli, tipo ventilazione, con le giuste accortezze, numeri contenuti ed alla presenza dei guardia parco», condizioni che però, ad oggi, risultano ben lontane dal concretizzarsi.
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