L’ARCHEOLOGIA È (ANCORA) UNA SCIENZA?
Per comodità dei lettori ricapitoliamo lo stato della situazione. Il ponte imperiale di Marco Aurelio è stato rinvenuto nel 2006 all’interno del parco dell’Eur-Castellaccio da Anna Buccellato, ex funzionaria della Soprintendenza Archeologica di Roma ora in pensione. Così lei stessa ha scritto in un articolo scientifico (corredato di mappa!) pubblicato su una prestigiosa rivista archeologica e poi inserito nel 2008 dall’archeologo Filippo Ascani in un volume didattico universitario. Il ponte imperiale sarebbe conservato in un locale sotterraneo-ispezionabile situato per l’appunto sotto la nuova sede Eni, ma inaccessibile per motivi ignoti. Almeno questa è la tesi sostenuta il 19 novembre scorso dalla Soprintendenza Archeologica, nella persona dell’archeologo Rocco Bochicchio (che ha preso il posto della collega Buccellato), di fronte alla Commissione capitolina Trasparenza che ad agosto ha aperto un’inchiesta su tale vicenda, oltreché davanti alla telecamere della trasmissione Report. La tesi di Bochicchio ci lascia sbigottiti visto che non si fonda su dati /documenti oggettivi, come dovrebbe essere. L’archeologia – giova ricordarlo – è una scienza e tale resta anche quando si scontra con gli affari di un potente costruttore finito sotto processo per la presunta compravendita di funzionari pubblici (il processo penale è in pieno corso di svolgimento). Del resto il vincolo ministeriale del 2016, che abbraccia l’ingresso della nuova sede Eni, non fa alcun cenno al ritrovamento/rinterro conservativo del ponte; sfidiamo chiunque a sostenere il contrario. La tesi di Bochicchio, quindi, si fonda solo sulle sue parole, ma credere a tesi prive di riscontro oggettivo costituisce un atto di fede, che nulla ha a che vedere con le pratiche ministeriali-burocratiche. Lo scorso 19 novembre Bochicchio si è rifiutato di mostrare il ponte e tutti i documenti necessari a dimostrare la sua strana-tesi ai consiglieri capitolini nonché membri della Commissione Trasparenza Marco Palumbo, Monica Montella e Francesco Figliomeni. Ma poi, ci chiediamo, questo ponte ci sarà davvero là sotto.
Il Ministero ci risponde, ma non fa chiarezza
“Circa le domande da lei poste – ci scrive la segreteria di Dario Franceschini, ministro dei Beni Culturali e Turismo – si sottolinea che l’archeologo Rocco Bochicchio non ha mai riportato due versioni diverse: i resti del ponte imperiale, come spiega bene il vincolo archeologico che è l’unico documento pubblico ufficiale e quindi inattaccabile, è stato preservato, come di prassi, con reinterro conservativo e successivamente “inscatolato” in un vano al di sotto dell’attuale pavimentazione dell’area, che ricalca in superficie il basolato della via Laurentina e lo stesso ponte. Conservato in situ si trova di fronte all’attuale ingresso della sede dell’ENI. Il vano è ispezionabile ma, ovviamente, il ponte non è più visibile in quanto, come specificato, interrato per preservarne i resti. I locali sono afferenti alle stesse proprietà dei grattacieli, quindi non di competenza della Soprintendenza. Per quanto riguarda il futuro museo del territorio, si precisa che la sede individuata, ovvero la ex vaccheria del Castellaccio, è di proprietà comunale. Da convenzione urbanistica la stessa doveva essere consegnata alla Soprintendenza e, a tal fine, si sta lavorando (…) per la risoluzione delle problematiche e alla predisposizione di un protocollo d’intesa. Circa la richiesta sull’esposizione nel futuro museo dell’epigrafe di età imperiale, attualmente conservata presso il Museo Nazionale Romano, i tecnici stanno elaborando il progetto scientifico di quello che sarà il museo del territorio, dove potranno trovare posto anche altri importanti reperti. Quanto alle strutture restanti del ponte, pur non essendo possibile la loro rimozione per la musealizzazione, l’antica struttura sarà al centro di una specifica narrazione, da realizzare auspicabilmente attraverso le più moderne tecnologie di valorizzazione”.