LA VALLE DEI PONTI FINITI IN… DISCARICA
Nel parco dell’Eur Castellaccio (ancora mai aperto al pubblico) sono stati distrutti e gettati in discarica quattro ponti. Due ponti (di epoca recente) di cemento, uno di epoca incerta (probabilmente medioevale) e uno del periodo mussoliniano. La distruzione dei quattro ponti ha avuto luogo nel corso di recenti lavori di scavo. Sul ‘parco dei ponti’ pende difatti il grave rischio di allagamento visto che l’intera vallata è classificata come R4, così si usa dire in gergo tecnico, significa che su di essa incombe il massimo rischio di alluvione previsto dalla legge, su una scala che va da R1 a R4. L’intera area, situata tra i fossi di Vallerano e Acquacetosa, non è mai stata declassata ossia resa non più allagabile, ma solo ‘mitigata’ un anno fa, con dei lavori di innalzamento degli argini del fosso dell’Acquacetosa di facile esecuzione e basso costo. Senza questi lavori le palazzine dell’Eni, costruite dal Gruppo Parnasi, non avrebbero potuto essere collaudate, dichiarate agibili e quindi affittate. I lavori di declassamento sono stati rinviati al momento in cui verrà realizzato il nuovo stadio della Roma a Tor di Valle, che si trova a poche centinaia di metri di distanza.
IL MOMENTO DELLA VERITÀ
All’appello manca, però, un ultimo ponte, quello più importante, che al momento risulta ‘scomparso’. Secondo la Soprintendenza Archeologica Speciale di Roma il ponte romano non sarebbe stato gettato in discarica, ma si troverebbe interrato proprio davanti l’ingresso della nuova sede dell’Eni. Così ha sostenuto Rocco Bochicchio, archeologo delegato per il IX Municipio, lo scorso 18 settembre nel corso della prima seduta della Commissione capitolina trasparenza interamente dedicata al ‘mistero’ del ponte imperiale ‘scomparso’. Non si sono presentati in Commissione Daniela Porro, Soprintendente di Roma, né tantomeno i suoi due predecessori, Francesco Prosperetti e Anna Buccellato.
SOPRINTENDENZA SMENTITA DALLE CARTE
Due documenti smentiscono però Bochicchio: il ‘nulla osta’ della Soprintendenza Archeologica (Prot. n.18432 del 25 giugno 2015), ossia il documento che concede a Parnasi il via libera alla realizzazione dell’edificio in cui ha sede l’Eni, che non fa cenno al ponte interrato, come dovrebbe essere per legge. Inoltre, il vincolo del Ministero dei Beni Culturali del 2016 che abbraccia (anche) il piazzale dell’Eni e non fa alcun riferimento al ponte interrato, né lo graficizza nella cartina allegata, a differenza di tutti gli altri reperti rinvenuti e interrati in quella stessa zona. Infine, nel piazzale Eni non c’è nemmeno un cartello ad indicare l’importante reperto archeologico.
DOMANDE SENZA RISPOSTA
Sorgono spontanei alcuni quesiti, a cui la Soprintendenza ancora non ha risposto, nonostante i tre mesi trascorsi: dove e quando il ponte imperiale e la grossa stele di travertino sono stati rinvenuti di preciso? Dove e quando il ponte imperiale sarebbe stato re-interrato di preciso? Quali documenti attestano il ritrovamento e il re-interramento a scopo conservativo del ponte imperiale? Ora la grossa stele di travertino dove si trova di preciso? L’auspicio del nostro giornale è che, ovunque si trovi, il ponte venga dissotterrato ed esposto – insieme alla grossa stele di travertino – nel vicino Museo del Poggio del Castellaccio, costruito proprio con lo scopo di ospitare i reperti archeologici rinvenuti all’Eur e che la Soprintendenza tiene inspiegabilmente chiuso e abbandonato da anni. Se il ponte imperiale non è finito in discarica e nessuno ha nulla da nascondere, questa sarebbe l’unica azione rispettosa del reperto e dei cittadini da porre in essere. Il 10 novembre il nostro giornale sarà presente alla seduta esterna della Commissione Trasparenza con due giornalisti, Daniele Castri e Giuseppe Vatinno, per cercare di avere finalmente le risposte che da mesi nessuno ci dà.